75 anni fa moriva Benito Mussolini insieme alla sua amante

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Le ultime ore di Mussolini. Ieri 28 aprile 1945 – 75 anni fa – Benito Mussolini fu ucciso insieme a Claretta Petacci. Ecco la ricostruzione ufficiale di quelle ultime ore di vita del duce. E le altre che furono ipotizzate in seguito per raccontare quei convulsi momenti finali.

Benito Mussolini, dopo che era stato destituito il 25 luglio 1943, era costretto a vivere sul lago di Garda, dove si era insediato, per volere di Hitler il nuovo governo della Repubblica sociale italiana. Nella sua nuova residenza, Villa Feltrinelli a Gargnano (Brescia), si svegliava tutte le mattine alle 7:30, indossava una divisa grigioverde, senza gradi né mostrine: era praticamente prigioniero dei nazisti, che lo avevano liberato a Campo Imperatore il 12 settembre del 1943 e costretto a creare un governo fantoccio nel Nord d’Italia.

A Milano, il 25 aprile. Finito e braccato, temeva di essere sempre sotto controllo e in pericolo, e all’inizio del 1945 decise di cercare una soluzione politica. Alla fine decise di andare a Milano, dove il cardinale e arcivescovo Ildefonso Schuster era pronto a mediare con gli alti gradi partigiani. L’incontro fu fissato proprio per il 25 aprile, giorno dell’insurrezione di Milano.

Il duce arrivò per primo quel pomeriggio, nella sede dell’arcivescovado. Per quanto preoccupato e teso, sperava forse in una soluzione politica dignitosa per sé. Ma le cose non andarono come si era immaginato. 

Quando arrivarono i delegati del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia uno di loro, Achille Marazza, chiese senza mezzi termini a Mussolini la resa incondizionata. Poco dopo arrivò anche la notizia che i tedeschi in Svizzera stavano trattando una resa separata (Hitler era già rinchiuso da mesi nel suo bunker di Berlino, molti metri sottoterra). Mussolini capì di essere solo, si avviò alla porta, ormai deciso ad abbandonare.

25 aprile 1945: Mussolini lascia la prefettura di Milano, nell’ultima fotografia che lo mostra da vivo | Wikipedia
25 aprile 1945: Mussolini lascia la prefettura di Milano, nell’ultima fotografia che lo mostra da vivo | Wikipedia

Il piano del duce. Ma che cosa aveva davvero in mente, a quel punto? L’ipotesi più probabile è che più che espatriare in Svizzera (che tra l’altro si era già dichiarata contraria a dare asilo al duce e alla sua famiglia) volesse raggiungere il cosiddetto Ridotto alpino repubblicano, dove pensava (sbagliandosi) che camicie nere e milizia repubblichina fossero in grado di controllare il territorio. Da qui avrebbe probabilmente contattato gli Alleati per accordarsi con loro, portando con sé alcuni documenti che mostravano i rapporti intercorsi tra lui e il governo britannico. Si trattava con ogni probabilità del misterioso carteggio Mussolini-Churchill, di cui non si conosce il contenuto e mai desecretato dal governo britannico.

Il panico tra i gerarchi. Nonostante il parere contrario dei gerarchi, alle 20 Mussolini, in divisa grigioverde della milizia di Salò, si mise in marcia, destinazione Como. Il 26 aprile, a Menaggio, lo raggiunse Claretta con il fratello Marcello, la moglie di lui e i loro 2 figli piccoli. I gerarchi non erano affatto contenti della presenza della Petacci. La ritenevano infatti la causa di molti errori politici del duce. La situazione era tesissima e regnava l’incertezza: le riunioni andavano avanti ore, fino a notte fonda. Inoltre, il panico cominciava a spargersi soprattutto tra i gerarchi e le loro famiglie. Per quanto difficile, una decisione andava presa.

Mussolini non era solo. Lo accompagnava una colonna di automezzi che formava un serpentone di circa 1 chilometro: 28 automezzi che trasportavano quasi 200 militari tedeschi e 174 italiani. Non proprio l’ideale per non dare nell’occhio. Partiti di buonora, i mezzi, che si fermavano e ripartivano caoticamente e senza un ordine preciso fermandosi spesso per i guasti, impiegarono almeno un’ora per fare appena 12 chilometri.

Camerata ubriaco. A Musso la colonna fu bloccata una prima volta, il 27 aprile, da un gruppo di partigiani guidati dal comandante “Pedro”. Qui iniziò una lunga trattativa fra tedeschi e partigiani, alla fine della quale solo i tedeschi della colonna ebbero il permesso di ripartire. Poco più avanti, a Dongo, il convoglio venne di nuovo fermato dalla 52a Brigata Garibaldi. Nel frattempo, si era diffusa la voce che nella colonna ci fosse Mussolini. Alcuni militari tedeschi, non si sa se per denunciare o proteggere il duce, segnalarono la presenza di un camerata ubriaco in uno dei camion. Qui partigiani trovarono il duce con un cappotto militare tedesco, armato e con la preziosa borsa dei documenti stretta tra le braccia.

Il corpo morto di Benito Mussolini

L’arresto e l’interrogatorio. Riconosciuto e arrestato, fu portato nel municipio di Dongo. Qui avvenne un sommario interrogatorio. Dopodiché il duce viene tenuto, per precauzione, a Germasino, nella casermetta della Guardia di Finanza. Ripartito nel cuore della notte, viene riunito alla Petacci (su insistente richiesta di lei). Passarono l’ultima loro notte a Bonzanigo, in una semplice abitazione di contadini, quella dei De Maria, che i partigiani avevano scelto per loro.

Mussolini portava una benda sulla testa che nascondeva l’inconfondibile cranio e parte del viso e i due furono presentati ai proprietari come una coppia di tedeschi feriti. Qui il duce si sbendò. Con i De Maria, Mussolini scambiò poche parole, non accettò bevande (per il timore forse di essere avvelenato) e la mattina del 28 aprile consumò il suo ultimo pasto, senza quasi toccare cibo: un po’ di salame e un po’ di pane.

Benito Mussolini e Claretta Petacci furono fucilati davanti a questo cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como. | Wikimedia
Benito Mussolini e Claretta Petacci furono fucilati davanti a questo cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como. | Wikimedia

il 28 aprile 1945. Alle 16:10 di quel 28 aprile 1945, Benito Mussolini e Claretta Petacci furono fucilati davanti al cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como. A sparare, secondo la versione ufficiale, fu il colonnello partigiano “Valerio”, Walter Audisio.

A volerlo morto era il Clnai, contro il volere degli Alleati, ai quali fu comunicato telegraficamente dal comando partigiano: “Spiacenti non potervi consegnare Mussolini che processato Tribunale popolare è stato fucilato […]“. Erano le 3 del mattino del 28 aprile, e il duce era ancora vivo. Ma gli Alleati, che tempestavano di cablogrammi i comandi partigiani perché consegnassero il duce, dovevano essere depistati. Mussolini era affare degli italiani.

Le altre versioni. Sono trascorsi settantacinque anni dalla morte di Mussolini, eppure gli storici discutono ancora oggi attorno alle modalità di quell’esecuzione. La “versione ufficiale”, esposta già nel corso del 1945 sul quotidiano comunista l’Unità, e riassunta qui sopra afferma che il duce e la sua amante Claretta Petacci vennero fucilati alle 16:10 del 28 aprile 1945, davanti al cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como. Esecutore della condanna a morte, che fu decisa dal Clnai (Comitato di liberazione Alta Italia), sarebbe stato il colonnello “Valerio”, alias Walter Audisio, comunista, emissario dei vertici della Resistenza.

“Valerio” fu affiancato, nella sua missione, da altri due personaggi: Aldo Lampredi detto “Guido”, uomo di fiducia del leader del Pci Luigi Longo, e un partigiano locale, Michele Moretti, “Pietro”. Gli stessi protagonisti si sono contraddetti tra loro, aggiungendo particolari su quei drammatici istanti. Lampredi e Moretti, in separate testimonianze rese verso la fine dei loro giorni, hanno voluto chiarire che, in contrasto con il racconto di Audisio, tendente a rappresentare un Benito Mussolini tremebondo, il dittatore avrebbe affrontato la morte chiedendo ai suoi fucilatori di mirare al cuore e gridando “Viva l’Italia!”.

Ecco le altre ipotesi avanzate da storici e studiosi.

La tesi della “doppia fucilazione”

Nel 1973 il giornalista Franco Bandini lanciò una clamorosa ricostruzione alternativa della fine del duce. In base a questa tesi (non accreditata dagli storici), Mussolini e la Petacci sarebbero stati giustiziati, nella tarda mattinata del 28 aprile 1945, da un commando partigiano guidato nientemeno che da Luigi Longo, a poca distanza dal casolare dei contadini De Maria dove i due prigionieri avevano pernottato, nella frazione Bonzanigo. Nel pomeriggio, i responsabili dell’esecuzione avrebbero condotto una seconda, falsa fucilazione, nel luogo indicato dalla versione ufficiale: il cancello di Villa Belmonte, a Giulino.

Testimoni. Questa teoria è stata ripresa dall’esponente del Msi Giorgio Pisanò, che ha basato il suo racconto sulla testimonianza di un’abitante del luogo, Dorina Mazzola, al tempo dei fatti diciannovenne. La Mazzola, dalla propria abitazione, avrebbe colto la successione degli accadimenti, così ricostruiti da Pisanò: nella prima mattinata, l’esecuzione di Mussolini, nel cortile dei De Maria; dopo un paio di ore, l’assassinio di Claretta, avvenuto durante il trasporto del cadavere del duce da parte dei partigiani. Una finta fucilazione sui 2 cadaveri ci sarebbe stata poi, nel pomeriggio, al cancello di Villa Belmonte.Benito mussolini con Hitler

La “pista” inglese

Dagli anni Novanta l’ex partigiano comunista Bruno Giovanni Lonati (“Giacomo”), classe 1921, sostenne di essere intervenuto, a Mezzegra, la mattina del 28 aprile, in qualità di giustiziere di Mussolini, insieme a un agente italo-britannico: il capitano “John”. In base a tale versione, il partigiano “Giacomo” avrebbe aperto il fuoco su Mussolini, mentre sarebbe toccato all’inglese sparare a Claretta. L’esecuzione sarebbe avvenuta a poca distanza dalla casa dei De Maria, a Bonzanigo. A parte talune incongruenze nel suo racconto, la testimonianza di Lonati non ha però potuto essere convalidata da nessun’altra fonte, in quanto dell’ufficiale inglese, tale Robert Maccaroni, non è emersa alcuna traccia.

Accordi segreti? La versione di Lonati, tuttavia, ha consentito di rilanciare studi approfonditi sul ruolo giocato dagli inglesi nella delicata partita della sorte da riservare al dittatore. Del resto, sono in molti a sostenere che la Gran Bretagna avesse tutto l’interesse a favorire una soluzione cruenta del problema. Mussolini vivo, infatti, chiamato a deporre in un processo, avrebbe potuto mettere in imbarazzo il Regno Unito, rivelando le intese segrete che aveva raggiunto con eminenti statisti di quel Paese.

L’enigma di Moretti

Michele Moretti, il partigiano “Pietro” che prese parte all’esecuzione di Mussolini e di Claretta, potrebbe essere stato il vero autore di quell’atto simbolico che pose termine all’esperienza fascista e alla guerra. Lo stesso Moretti, subito dopo quei drammatici fatti, non faceva mistero di essere stato il “giustiziere” di Mezzegra. Poi, quando il suo partito, il Pci, intervenne d’autorità per dettare la linea di quella che divenne la versione ufficiale (quella con Audisio nel ruolo di esecutore materiale), “Pietro”, fedele e disciplinato, rientrò nei ranghi.

Documenti. In anni recenti è tuttavia riemerso un documento (foto sopra) che sembrerebbe confermare il ruolo di Moretti. Si tratta di una dichiarazione, datata 15 maggio 1945 e a firma del comandante della piazza di Como, Oreste Gementi, in cui il Cln locale certifica che fu il partigiano “Pietro” l’ artefice di quell’esecuzione. Nero su bianco. Nel foglio si legge: “Secondo gli accordi presi con la Missione militare russa, che in questi giorni ha preso contatto con il nostro Cln, consegnamo [sic!] alla stessa, per il Museo Militare di Mosca, l’arma (un mitragliatore Mas, ndr) con la quale il partigiano “Pietro” delle formazioni garibaldine del Lario, ha giustiziato Mussolini”.

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