
La multinazionale americana stabilisce quindi una volta per tutte quanti sono stati raggiunti da Cambridge Analytica soprattutto per influenzare il risultato delle elezioni presidenziali americane. Sulla reale capacità del cosiddetto “micro targeting”, i messaggi personalizzati, i dubbi sono tanti. Ma anche nel caso si tratti di una tecnica poco efficace, a Facebook si contesta l’aver lasciato che altre compagnie fino al 2014 abbiano potuto appropriarsi di così tante informazioni su chi è iscritto al social network.
“Non venderemo mai le informazioni delle persone a nessuno”, scrive Erin Egan, vice presidente di Facebook a capo di privacy e policy. “Abbiamo la responsabilità di mantenere al sicuro le informazioni delle persone e imponiamo ai nostri partner severe restrizioni sull’utilizzo e la divulgazione dei dati”. Peccato che queste restrizioni siano state introdotte quando Facebook aveva sorpassato la boa del miliardo di utenti da ben due anni e che Alexander Nix, fino a poco fa a capo capo di Cambridge Analytica, abbia potuto fare quel che ha fatto collaborando con Brad Parscale, numero due per il digitale di Donald Trump.
Zuckerberg testimonierà di fronte alla Commissione dell’Energia e del Commercio della Camera degli Stati Uniti mercoledì prossimo alle 10, ora della costa est, per parlare di “uso aziendale e della protezione dei dati degli utenti”. I parlamentari Greg Walden e Frank Pallone, rispettivamente presidente e membro della commissione, hanno affermato in una dichiarazione che l’udienza “sarà un’occasione importante per far luce sulle critiche questioni sulla privacy dei dati dei consumatori e aiutare tutti gli americani a capire meglio cosa succede alle loro informazioni personali online”.
Difficile che la nota di Facebook possa calmare gli animi. Scott Stringer, che sul social network ha investito un miliardo di dollari, chiede le dimissioni dello stesso Zuckerberg mentre Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple, ha pensato bene di sfruttare il momento e di unirsi al coro di critiche. Eppure non è da lui che arrivano le considerazioni più taglienti. “Con l’avvento dei colossi del Web non abbiamo visto cambiare la struttura del potere, abbiamo solo assistito al trasferimento di quel potere da certe persone ad altre. E quest’anno abbiamo capito tutti che tali persone sono profondamente incapaci di gestire il potere per il bene di tutti”. Parola di Eli Pariser, l’autore di un saggio fondamentale come The Filter Bubble che già nel 2011 aveva puntato il dito sulla macchina dei giganti della Rete. Un’accusa però che riguarda tutta la Silicon Valley e non solo Mark Zuckerberg e la sua Facebook.
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