ETF e fine dell’anarchia delle criptovalute

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Bitcoin, così la finanza tradizionale ha schiacciato il sogno anarchico. Uno spettro perseguita il mondo moderno, è lo spettro della cripto anarchia. Così Timoty C. May iniziava il suo “The Crypto Anarchist Manifest”. Un’idea andata via via scemando.

Uno spettro si aggira per il mondo moderno, è lo spettro della cripto anarchia». Così Timoty C. May, richiamandosi all’incipit del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, iniziava il suo “The Crypto Anarchist Manifest” scritto nel 1988 e diffuso nel 1994. Un documento il quale avrebbe influenzato i Cypherpunk e, di conseguenza, il mondo delle criptovalute. In primis, il Bitcoin.

Certo! I Cypherpunk – un gruppo che agli inizi degli anni ’90 in California ha elaborato molte tecniche ed impostazioni socio-economiche riprese dalla cripto regina – erano eterogenei. Come ha detto, Adam Back: una realtà articolata di attivisti, avvocati, crittografi con impostazioni (anche) politiche differenti.

Dai libertari di destra agli anarco-capitalisti fino agli anarchici con vocazione più solidarista. Ciò detto, però, è innegabile che un fil rouge fosse tra di loro riscontrabile: quello di essere, seppure con diverse sfumature, anti sistema.

Di volere, unitamente alla difesa della privacy tramite la crittografia, la realizzazione di meccanismi per le transazioni, e i pagamenti, che non richiedessero la presenza di un terzo garante.

Soprattutto se questo è rappresentato da entità quali il Governo o, ancora peggio, banche commerciali e altre istituzioni finanziarie tradizionali. Insomma: un “must” era (ed è) la disintermediazione.

Lo stesso Satoshi Nakamoto riprende il concetto nel sommario del suo white paper. «Una versione puramente peer-to-peer di denaro elettronico (…) senza passare tramite un’istituzione finanziaria».

È, per l’appunto, la disintermediazione, l’essere anti sistema che costituisce una delle caratteristiche di quella che (piaccia o non piaccia) è una geniale struttura socio-tecnologica.

Il cambiamento

Sennonché, qualcosa è profondamente mutato. La stessa approvazione, da parte della Security and exchange commision (Sec), dell’Etf sul prezzo spot del token di Nakamoto ne é la riprova.

Il prezzo della cryptocurrency, già risalito nei mesi precedenti anche in scia ai rumors sul possibile arrivo del nulla osta della Sec, è balzato ulteriormente dopo la pubblicazione della notizia. Più in generale il cripto mondo – ad eccezione forse dei massimalisti –ha festeggiato.

Bitcoin, così la finanza tradizionale ha schiacciato il sogno anarchico.Già, ma festeggiato cosa? Il fatto che il mondo tradizionale della finanza, il sistema istituzionale ha uno strumento in più, e molto potente, per convogliare flussi di denaro sul bitcoin. In altre parole: quelle realtà tanto osteggiate diventano, se non dominus, almeno molto influenti rispetto al token.

Il quale, va sottolineato, non da ora è sempre più definito asset e sempre meno valuta digitale. Cioè: un titolo su cui investire e non attraverso cui effettuare transazioni. Vero! In alcuni Paesi, dove ad esempio sono forti le rimesse dei migranti, la caratteristica di moneta resiste e si espande.

Inoltre la natura di oro digitale, asset che consente la riserva di valore, è presente nello stesso progetto di Nakamoto. Ancora: la micro struttura della cripto regina, e il suo funzionamento, rimangono quelli.

L’appropriazione

Ciò detto, però, l’obiezione di fondo resta valida. La finanza tradizionale si va appropriando del Bitcoin. Una dinamica che, peraltro, era già visibile nel 2022. Durante la fase dello “sboom” l’investitore istituzionale era ben presente sul bitcoin.

Ebbene: questo operatore, non conoscendo o non seguendo i meccanismi peculiari del token, si è basato su quelli della finanza tradizionale. Lo ha assimilato ad un titolo ad alta crescita e, a fronte del rischio inflazione e delle strette monetarie, lo ha venduto.

Vendite le quali hanno accelerato un’altra trasformazione del Bitcoin. Quella dei minatori. I bassi prezzi hanno creato margini limitati sulla validazione. Il che ha richiesto, ai miners, maggiori economie di scala e un approccio prettamente industriale.

Di nuovo, una caratteristica anti sistema finisce sullo sfondo: la possibilità che la singola persona possa essere realmente partecipe al mining. Certo! È la stessa programmata crescente difficoltà del “proof of work” – e del dispendio di energia – che ha fatto nascere le mining pool.

E, tuttavia, la distorsione è divenuta strutturale. Il tutto a discapito di quello che era l’utopia anarchica iniziale. Ma nel sistema capitalistico, si sa, l’utopia è destinata a lasciare il passo al profitto.

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