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Un buon rapporto genitori e bimbi migliora l’intelligenza

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Un buon rapporto genitori e bimbi migliora l'intelligenza
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Il bimbo al nido? È più intelligente se resta a casa con un adulto. Entro i due anni è fondamentale il rapporto con ‘i grandi’. E i pediatri propongono microstrutture.

I BIMBI al nido prima dei due anni hanno un quoziente di intelligenza più basso di 5 punti rispetto a quelli che sono rimasti a casa, accuditi da nonni, genitori o baby sitter. In compenso corrono meno rischi di essere obesi. Almeno a Bologna, dove la qualità media delle mense comunali è di buon livello. Ed è proprio a Bologna, al quarto Forum della Simpe (Società italiana medici pediatri) e dell’Osservatorio nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza Paidòss, che è stato presentato questo studio, che non rallegrerà le famiglie costrette a lasciare i bimbi al nido. Soprattutto quelle culturalmente ed economicamente più avvantaggiate, perché sono proprio i loro bambini a patire di più, perché a casa hanno un ambiente molto stimolante, al nido no. Viceversa, i bimbi che arrivano da situazioni svantaggiate guadagnano una crescita migliore.

In realtà la chiave di tutto è il numero di adulti previsto al nido per ogni bambino. Perché in questa fase della crescita è il rapporto con gli adulti – e non quello con i pari – che stimola maggiormente. Ed è per questo che i bimbi che restano con nonni e baby sitter sarebbero più intelligenti: perché hanno adulti “dedicati”.

Lo studio. Condotto dal dipartimento di Scienze Economiche dell’università di Bologna (Margherita Fort, Andrea Ichino e Giulio Zanella) lo studio ha coinvolto circa 500 famiglie che avevano chiesto di iscrivere il bimbo al nido pubblico della città tra il 2001 e il 2005. I ricercatori hanno raccolto i dati di settemila bambini estrapolandone poi 500, quelli che risultavano appena sopra o sotto la linea che demarcava il numero di posti disponibili. “Le graduatorie tengono conto di fattori socioeconomici, come la presenza di disabilità, l’assenza di un genitore, lo status lavorativo di padre e madre e, a parità, anche il reddito e la ricchezza familiare. Quindi valutare gli ultimi bambini in graduatoria e i primi tra gli esclusi – spiega Giulio Zanella – ci ha consentito di analizzare famiglie omogenee per livello sociale. Queste famiglie sono state contattate quando i figli avevano dagli 8 ai 13 anni e i bambini sono stati sottoposti a test per misurare il quoziente intellettivo, a test di personalità e per valutare disturbi comportamentali, alla misurazione dell’indice di massa corporea”.

I risultati. 
Due differenze statisticamente significative: cinque punti in meno sul quoziente intellettivo dei bimbi che frequentano il nido rispetto a quelli accuditi da un adulto ma meno rischio di obesità e sovrappeso. Ma come si spiegano questi risultati? Quelli sul peso con la qualità nutrizionale delle mense scolastiche bolognesi, ma la differenza di QI? “Il nostro campione ha incluso famiglie benestanti – continua Zanella – con tutti e due i genitori che lavoravano e un reddito medio di circa 80.000 euro annui. I figli di queste coppie sono molto stimolati e non possono essere paragonati ai primi in graduatoria, che arrivano da contesti svantaggiati. Quando l’ambiente familiare è stimolante, per lo sviluppo cognitivo del bimbo è più importante l’interazione uno a uno con l’adulto. Quelle con i coetanei sono invece pressoché nulle”.

La proposta. Negli anni di riferimento dello studio il rapporto nei nido era di un adulto su quattro bambini sotto l’anno di età e di uno su sei oltre l’anno. “La soluzione non è ovviamente sparare sugli asili nido – precisa Giuseppe Mele, presidente Simpe – ma organizzarli diversamente. Aumentando il numero di educatori o preferendo formule come i micro-nido, in modo da portare il rapporto educatori-bimbi verso un uno a uno. Permettendo anche ai bambini che arrivano da famiglie benestanti di poter avere dei vantaggi”.

I bisogni. In realtà molto studi hanno dimostrato che il bisogno primario dei bambini piccoli, entro i due anni di età, non è quello di essere stimolati. “È fondamentale la relazione di attaccamento con un adulto – precisa Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva all’università di Milano e autore, tra gli altri, di “L’educazione emotiva” – che dà affetto, sicurezza, protezione. Prima di apprendere hanno bisogno di costruirsi reti neuronali legate alla protezione. Gli affetti in questa fase della vita sono molto più importanti degli stimoli. Al primo posto c’è la protezione, la sicurezza e l’attaccamento, al secondo una adeguata stimolazione, al terzo la socializzazione. I bambini entro i due anni non sono orientati a socializzare, non è un loro bisogno. Per questo l’indicazione di ridurre il numero di adulti al nido per cercare di avvicinarsi ad un rapporto uno a uno è ottima. L’importante è che questi adulti forniscano cure adottando un codice affettivo, che siano nonni, genitori, baby sitter o educatori non c’è differenza sostanziale”.

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