
Fisici dell’Università di Stanford hanno scoperto sperimentalmente la particella di materia e antimateria teorizzata nel 1937 da Ettore Majorana. Il fisico italiano ipotizzava l’esistenza di particelle subatomiche – i fermioni – contenenti sia la materia che la controparte, ma finora nessuno aveva potuto osservarle. A spiegare come è stata ottenuta la prova della loro esistenza, un saggio pubblicato su Science: utilizzando superconduttori topologici (TSs) sono riusciti a far defluire gli elettroni in direzioni opposte osservando i fermioni e le “modalità Majorana”, la transizione di fase e gli stati meccanici quantistici, con proprietà distinte, che offrono prospettive di futuri utilizzi applicativi. La prospettiva è di creare computer quantistici iperveloci. In un singolo qubit (quantum bit), un’informazione potrebbe essere immagazzinata nel fermione di Majorana in modo tale che se dovesse degradarsi su un “lato” rimarrebbe inalterata nella controparte.
Nel corso dell’esperimento ideato dal professor Shoucheng Zhang, a un certo punto del ciclo di sollecitazione – ha spiegato Giorgio Gratta, uno dei fisici dell’equipe californiana – “sono emerse le quasiparticelle di Majorana”. Colpisce il fatto che la teoria del geniale fisico italiano sia stata dimostrata a distanza di 80 anni dalla sua formulazione e solo grazie allo sviluppo di nuove tecnologie che consentono la sperimentazione in laboratorio. Dal 2012 diversi esperimenti avevano fornito indizi sui fermioni e lo “spin” a sostegno della teoria Majorana. Gli stessi avanzamenti nella topologia – la matematica che studia come cambiano le proprietà di forme e figure quando sottoposte a deformazioni come allungamenti e torsioni – sono recenti e appena l’anno scorso David Thouless, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz hanno vinto il Nobel per la fisica grazie agli “stati topologici della materia”. Il team della Stanford considera l’esperimento sul TSs bidimensionale la “prova fumante” dell’esistenza di quella struttura subatomica ipotizzata da Majorana nella sua ‘Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone’ e ha battezzato il fermione “particella dell’Angelo” in riferimento alla bomba all’antimateria del thriller ‘Angeli e Demoni’ di Dan Brown.
I fisici ritengono che alla creazione dell’universo dal nulla col Big Bang si sia generata una corrispettiva antimateria e che, qualora venissero a scontrarsi le due formidabili forze, l’universo ne sarebbe annichilito dalla colossale energia tornando nulla. La scoperta della “particella dell’Angelo” è considerata una pietra miliare nella fisica e punto d’arrivo della ricerca pluridecennale sulle intuizioni di Majorana, uno dei più brillanti fisici teorici del Novecento. Allievo di Enrico Fermi, Majorana battezzò i “fermioni” in onore del suo maestro attorno al quale si raccolse all’università di Roma negli anni Trenta il gruppo di giovani – con Majorana, Edoardo Amaldi, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti ed Emilio Segrè – noto come “i ragazzi di via Panisperna”. Sulla loro storia è uscito nell’89 l’omonimo film di Gianni Amelio che sottolinea il rapporto quasi paterno tra Fermi e Majorana. Nell’istituto di fisica nel popolare rione Monti si realizza tra l’altro un primo reattore nucleare. All’intuizione del geniale Majorana sugli utilizzi distruttivi della nuova energia si attribuisce il giallo del suo dileguamento nel ’38 a soli 32 anni. Molte le ipotesi sulla sorte, dal suicidio al ritiro monastico. Leonardo Sciascia nel ’75 pubblicò un saggio-inchiesta, ‘La scomparsa di Majorana’, suggerendo che un “dramma personale”, frutto insieme del carattere schivo e chiuso e delle preoccupazioni sulla responsabilità della fisica nucleare nell’imminenza del conflitto mondiale, lo aveva spinto a “mettere in scena” l’ipotesi fosse morto per sottrarsi al mondo: “colpo di teatro” pirandelliano per non contribuire agli esiti bellici della sua ricerca e conquistarsi altrove un “diritto all’oblio” sul quale più recentemente è stato pubblicato ‘La seconda vita di Majorana’. Cos’altro avrebbe scoperto altrimenti?
Lascia un commento