Dai paradossi della cosmologia a nuove idee sull’Universo

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Alcune semplici osservazioni del mondo che ci circonda sembrano contraddire le leggi della fisica. Risolvere questi paradossi potrebbe cambiare il modo con cui comprendiamo l’Universo. Spesso le rivoluzioni scientifiche arrivano dallo risoluzione di paradossi che sembrano irrisolvibili. Si sa, quando gli scienziati si concentrano intensamente sulla ricerca di una soluzione finale, di solito si arriva ad un processo che produce scoperte significative. Un esercizio interessante è quello di elencare alcuni paradossi che sono associati con le idee attuali della Scienza. È, forse, probabile che partendo da essi si possa arrivare alla prossima generazione di scienziati dai quali emergeranno nuove idee sull’Universo? Oggi, lo scienziato Yurij Baryshev dell’Università Statale di San Pietroburgo, in Russia, fa il punto su questi argomenti che riguardano le idee e le osservazioni ben consolidate sulla struttura e l’origine dell’Universo.

Espansione cosmica

Il paradosso che sembra potenzialmente il più importante emerge dal fatto che l’Universo è in espansione, uno dei grandi successi della moderna cosmologia basato su tutta una serie di fatti osservativi. Il primo riguarda la recessione delle galassie, la cui evidenza proviene dal fenomeno dello spostamento verso il rosso, o redshift: in altre parole, più lontane si trovano le galassie e più velocemente si allontanano. Tuttavia, sappiamo che l’evidenza osservativa più recente implica, invece, che l’espansione cosmica sta accelerando. Ciò che è curioso di questa espansione è che lo spazio, e il vuoto ad esso associato, devono essere creati in qualche modo durante questo processo, un fatto che rimane tutt’altro che chiaro. “La creazione dello spazio è un nuovo fenomeno cosmologico che non è stato ancora studiato sperimentalmente”, afferma Baryshev. Ma c’è dell’altro: sappiamo che esiste dell’energia (scura) associata con un dato volume di spazio. La domanda è: se il volume aumenta, anche l’energia ad esso associata aumenta di conseguenza? In generale, gli scienziati ritengono che la creazione di energia sia un processo proibito. Ma come ha detto una volta su questo argomento il cosmologo britannico Ted Harrisonla conclusione, che ci piaccia o no, è ovvia, l’energia dell’Universo non si conserva”. Si tratta di un problema di cui i cosmologi sono certamente consapevoli e se un giorno qualche fisico teorico risolverà questo paradosso, sicuramente avrà una carriera brillante.

Energia del vuoto

La natura dell’energia associata al vuoto rappresenta un altro enigma. È ciò che i fisici quantistici chiamano il “energia del punto zero” o “energia del vuoto di Planck”, un problema che li ha tenuti a lungo impegnati nel tentativo di misurarla. Attualmente, i calcoli teorici suggeriscono che la densità di energia del vuoto è enorme, cioè dell’ordine di 1094 g/cm3. Questa mostruosa energia, essendo equivalente alla massa in accordo alla famosa equazione di Albert Einstein E=mc2, dovrebbe avere un importante effetto gravitazionale sull’intero Universo. Ma i cosmologi hanno cercato di determinare questo effetto gravitazionale calcolando il suo valore dalle osservazioni: stiamo parlando della costante cosmologica di Einstein. I dati osservativi indicano, invece, che la densità di energia del vuoto è pari a circa 10-29 g/cm3. Ora risulta difficile riconciliare questi due numeri, in quanto differiscono di 120 ordini di grandezza. Come e perché si abbia questa enorme discrepanza è un fatto del tutto ignoto ed è la causa del grosso imbarazzo tra i cosmologi.

Redshift cosmologico

C’è, inoltre, il problema del cosiddetto redshift cosmologico, che rappresenta un altro mistero. I fisici parlano spesso del redshift come una sorta di effetto Doppler, che possiamo sperimentare direttamente quando le onde sonore emessa dalla sirena di una macchina della polizia si avvicinano e poi si allontanano. L’effetto Doppler si ha a seguito del moto relativo di due oggetti. Ma il redshift cosmologico è diverso poichè le galassie sono ferme nello spazio: di fatto, è lo spazio stesso che si sta espandendo. Le equazioni matematiche che descrivono questi effetti sono, di conseguenza differenti, anche perché la velocità relativa deve essere sempre inferiore alla velocità della luce. Tuttavia, la velocità di espansione dello spazio può assumere qualsiasi valore. Una cosa interessante è data dal fatto che la natura stessa del redshift cosmologico porta alla possibilità di eseguire una serie di test osservativi che saranno realizzati durante i prossimi anni. Una idea su cui gli scienziati stanno lavorando si basa sul fatto che il redshift di oggetti distanti deve aumentare man mano che essi si allontanano. Per un quasar distante, questa variazione di redshift potrebbe essere dell’ordine di 1 cm al secondo per anno, un valore che i prossimi grandi telescopi di nuova generazione sarebbero in grado di misurare.

Una questione di omogeneità

Infine, ricordiamo un altro paradosso che vale la pena menzionare. Esso emerge da una delle assunzioni fondamentali che sta alla base della teoria della relatività generale: se si guarda all’Universo su larga scala, si osserva essere uguale in tutte le direzioni. Sembra chiaro che tale assunzione di omogeneità non valga, però, su scala locale. La Via Lattea fa parte di un insieme di galassie, noto come Gruppo Locale, che a sua volta fa parte di un Superammasso Locale più grande. Ciò suggerisce una sorta di struttura frattale dell’Universo: in altre parole, il nostro Universo è costituito di ammassi di galassie a dispetto della scala spaziale che osserviamo. Il problema è che ciò contraddice una delle idee base della cosmologia moderna: la legge di Hubble, cioè il fatto che il redshift cosmologico di qualsiasi oggetto è direttamente proporzionale alla sua distanza. È così profondamente implicito nella moderna cosmologia il fatto che le attuali teorie comunemente accettate dell’espansione cosmica dipendano dalla sua natura lineare. Ciò è vero se l’Universo è omogeneo, e quindi lineare, su larga scala. Però, l’evidenza è paradossale. I cosmologi hanno misurato la natura lineare della legge di Hubble fino a distanze di qualche centinaia di milioni di parsec (1 parsec = 3,26 anni-luce). E ancora, gli ammassi di galassie visibili su larga scala indicano che l’Universo non è, di fatto, omogeneo. Perciò, il fatto che la linearità della legge di Hubble sia il risultato dell’omogeneità dell’Universo, o viceversa, non sta in piedi ad un esame più accurato. Ancora una volta, si tratta di un grande imbarazzo per la moderna cosmologia.

A volte si pensa che gli astrofisici abbiano, per così dire, “ricucito” più o meno la cosmologia, che il modello del Big Bang, e tutto ciò che implica, tenga conto solamente di ciò che siamo in grado di osservare nel cosmo. Ma, forse, i vari tentativi di descrivere con successo la realtà fisica possono sembrare una mera illusione. Se davvero gli scienziati credono di arrivare ad una descrizione completa e finale del mondo che circonda, allora un giorno potremo affermare che sarà giunto il tempo per cui la lista dei paradossi cosmologici potrà essere definitivamente cancellata.

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