Tutti i robot che attualmente ci accompagnano sulla Terra

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Androidi, transformer, simulacri e macchine biomimetiche: i robot del terzo millennio. Umani, disumani, super umani, ma comunque bestiali e già in mezzo a noi. Sono i robot del terzo millennio, macchine costruite a immagine e somiglianza dell’uomo e della donna, con fratelli-insetti e parenti-serpenti. Hanno cervello. Avranno anche l’anima?

A CHI HAI DETTO “ROBOT”?  Dimenticatevi le bambole gonfiabili da sexy shop. Il futuro del sesso è high-tech. Ne è convinto David Levy, studioso di intelligenza artificiale all’Università di Maastricht (Olanda), che prevede che entro il 2050 un qualche Stato americano (il Massachusetts, secondo lui) legalizzerà i matrimoni misti. Tra umani e robot. Staremo a vedere. Per intanto, per fare solo sesso c’è già tutto quello che serve. Assurdo? Forse no, almeno a vedere Andy, questa sensuale umanoide prodotta dalla tedesca First Androids. In pratica, una “bestia” che è un po’ bambola, un po’ donna, un po’ robot. Andy ha un corpo che si scalda nei punti strategici, respirazione che si adegua alla circostanza, cuore artificiale che batte al ritmo delle passioni al silicone e tutte le secrezioni che ti aspetti. Insomma, è ben equipaggiata, ed è in vendita al prezzo di una utilitaria. (Foto © First Androids)

Metà robot, metà scienziato: Albert Hubo è un ibrido tecnologico nato dalla fantasia di un gruppo di ricercatori americani coordinati da David Hanson, visionario studioso di intelligenza artificiale. Einstein in versione robotica si muove e interagisce con i suoi interlocutori grazie a un “motore caratteriale”, un software che simula diverse tipologie di personalità. Capisce quello che gli viene detto e interpreta le espressioni del viso di chi gli parla, e lui stesso sa riprodurre un certo numero di espressioni grazie al volto ricoperto dalla sinto-pelle “quasi umana”, realizzata in un materiale chiamato frubber (dall’inglese flesh, carne, e rubber, gomma). Ma che farsene di un fisico col corpo di robot? «I nostri umanoidi», spiegano dalla Hanson Robotics, «sono utili nell’industria dell’intrattenimento e nelle applicazioni mediche.» Sembra infatti che ai bambini in ospedale giocare con un androide faccia bene…

Un’auto parcheggiata. Un ritmo martellante e la carrozzeria si scompone per ricomporsi sotto i nostri occhi nelle sembianze di un enorme robot… Così qualche tempo fa una nota marca automobilistica presentava in uno spot l’ultimo modello di ruggente utilitaria. Non tutti sanno che quel robot esiste davvero: a tre giovani cinesi – Sui Lulu, Zhang Yiming e Li Wei – sono serviti circa 8.000 dollari per assemblare questo umanoide di quattro metri e mezzo partendo dai pezzi di una vera auto. Certo non diventeranno mai così, però anche le normali automobili si stanno sempre più “robotizzando” e magari un giorno non avranno più bisogno di noi. Un esempio? Boss, una Chevrolet che ricercatori della Carnegie Mellon University di Pittsburgh (Usa) hanno equipaggiato con sofisticate strumentazioni, ha vinto una competizione per auto robotiche percorrendo senza conducente le strade di una città appositamente ricostruita, evitando ostacoli e auto vere.

Tra terra e acqua si muove un serpente marino dalle squame metalliche e con un solo inquietante occhio che risplende di luce blu, scivola sinuosamente sul suo stesso corpo e si fa strada tra ostacoli di ogni tipo. Ma per quanto impressionante a vedersi, il serpente meccanico Acm-R5 non è un velenoso nemico – né un seducente tentatore! Il prototipo creato dai ricercatori del Tokyo Institute of Technology aiuterà infatti i vigili del fuoco a recuperare le vittime dei terremoti intrappolate tra le macerie. Il rettile d’acciaio non teme le condizioni estreme: entra un po’ dappertutto e grazie al suo occhio-telecamera mostra ciò che vede agli umani che lo comandano a distanza. Acm-R5 ha molti fratelli. Rettili high-tech che come lui ci faranno vivere meglio: per esempio i-Snake, una biscia-chirurgo che entra nel cuore, alla lettera, per curarlo dall’interno. Chi vi sembra più sveglio, un robot-cane che gioca a calcio o un calciatore che parla ai cronisti? Di certo, questi cagnolini sono abbastanza svegli per cavarsela egregiamente in campo, tra assist e cross, sotto gli occhi severi di un arbitro umanoide. L’immagine viene da RoboCup, il campionato di calcio per robot che dal 1993 mette in campo squadre di automi e androidi di vario tipo. L’obiettivo degli organizzatori è ambizioso: realizzare entro il 2050 un’intera squadra di androidi in grado di sfidare, e magari battere, una squadra umana campione del mondo. Naturalmente i robot non sono tutti uguali e pertanto RoboCup prevede – proprio come nei veri campionati – diverse categorie: quella per robot di piccola taglia, di media taglia, per i robot quadrupedi e per gli androidi. Prendete un peluche a forma di orsetto ma con un paio di orecchie e un musetto che ricordino i gremlin, quei mostriciattoli dell’omonimo b-movie di fantascienza che si duplicavano quando venivano bagnati. Coprite il vostro peluche con una bella peluria lunga e folta e riempitelo delle diavolerie elettroniche necessarie a dargli vita. Quello che otterrete è Leonardo, uno dei più curiosi robot che la tecnologia degli ultimi anni ha sfornato. Leo è “sociabile”, costruito cioè per dimostrare le possibilità dell’interazione uomo-macchina: è in grado infatti di riconoscere i volti, di comprendere le parole dei suoi interlocutori e di prodursi in numerose espressioni del volto. Creato da Cynthia Breazeal, del Massachusetts Institute of Technology, Leonardo può contare su di un cervello ben più grande di lui: la sua anima è di fatto una serie di computer che gli danno intelligenza, personalità e memoria. Gli insetti hanno sempre suscitato nell’uomo curiosità e stupore, e qualche volta ribrezzo. Agli insetti sono stati attribuiti poteri magici o virtù mistiche, come nel caso dello scarabeo stercoraro, sacro per gli egizi. Anche nel bestiario della tecnologia non mancano gli insetti, come questa carica di scarafaggi robotizzati, non certo sacri ma colorati e decisamente meno disgustosi di quelli bio. Li vende come giocattoli l’azienda giapponese Bandai, quella del celebre Tamagotchi, l’esserino virtuale formato portachiavi. Gli scarafaggi giocattolo hanno una (minima) forma di intelligenza artificiale: scappano quando vedono la luce e fuggono dai rumori improvvisi, proprio come i loro modelli biologici. Ben più avanzata è l’intelligenza di Rise, uno scorpione meccanico che dall’animale vero ha copiato la forma e la capacità di arrampicarsi.D’accordo, questo scarafaggio gigante (un esemplare di gromphadorhina portentosa) non è un bel vedere. Però è bravo alla guida, nonostante il cervello poco sviluppato. Grazie a uno scienziato canadese lo scarafaggio può infatti andarsene in giro con questa appendice robotica a quattro ruote che fa avanzare, indietreggiare e sterzare muovendo le zampette pelose. In pratica il robot è equipaggiato con una normale pallina libera di ruotare in ogni direzione (come un trackball) e collegata a circuiti elettrici che azionano le ruote del veicolo. Appoggiato su di essa, l’insetto la aziona ad ogni movimento e mette così in moto il robot. Ma perché realizzare un cyborg metà macchina e metà animale? Per dimostrare che uno scarafaggio, con il suo piccolo cervello, può fare più o meno quello che fa il processore in un computer. Elettronica e biologia non sono mai state così vicine. (Foto © Garnet Hertz, ConceptLab)Per muoversi le macchine usano i motori, agli esseri viventi bastano i muscoli, che da soli convertono l’energia chimica degli alimenti in energia meccanica. Ma siccome la natura insegna, non c’è voluto molto perché qualcuno inventasse muscoli bionici. All’edizione 2006 del Design Life Now, a New York, ha fatto bella mostra di sé la versione perfezionata di RoboLobster, un’aragosta robotica che si muove senza motori. Messa a punto nel 2002 da Joseph Ayers, biologo alla Northeastern University di Boston (Usa), il crostaceo di metallo e plastica (60 cm di lunghezza per circa 3 kg) ha muscoli di nitinol, una lega di nickel, titanio e cobalto che gli garantisce tutta la sicurezza richiesta dal suo “lavoro”, che consiste nel recuperare mine sommerse lungo le coste oceaniche. RoboLobster segna una nuova tendenza: la robotica “biomimetica”, cioè che imita il mondo naturale.Verso la fine del Settecento Luigi Galvani conduceva strani (per l’epoca) esperimenti sezionando rane e studiandone le reazioni muscolari indotte dall’elettricità. Oggi Garnet Hertz, artista canadese, inventa “mostri” che un po’ richiamano quegli studi pionieristici e che sono il frutto di esperimenti a cavallo tra biologia, robotica e arte concettuale. Questa rana-cyborg è un esempio: presentato al Festival di Arti Elettroniche a Rotterdam (Olanda) nel 2007, l’esperimento prevedeva che il corpo dell’animale (morto) fosse collegato a dispositivi elettromeccanici collegati a una rete informatica. Attraverso quest’ultima, i visitatori di un apposito sito potevano comandare a loro piacimento il movimento delle zampe dell’animale. «Un riferimento agli esperimenti di Galvani e ai nuovi mezzi di comunicazione», così Hertz definisce il suo progetto “artistico”. Che naturalmente non ha mancato di suscitare polemiche (foto © Garnet Hertz, ConceptLab).E se un giorno per davvero i robot entrassero nella nostra vita quotidiana? Forse li porteremmo a spasso al parco, oppure andremmo a vederli allo zoo. Così deve aver pensato un artista portoghese, Leonel Moura, che non lontano da Lisbona ha realizzato il primo zoo per robot. Il Robotarium è una grande campana di vetro collocata in un parco pubblico che ospita al suo interno 45 robot appositamente realizzati. Come i pesci di un acquario, anche le “bestie” sono di varie specie, ognuna con un suo nome scientifico (inventato), dai due esemplari di acrorhinomorpho dalla testa pelosa, alimentati con cellule solari, al ragno araneax dalle lunghe zampe (foto) che, grazie a sensori, “vede” i visitatori. (Foto © Leonel Moura)Robocop, il cyborg metà robot metà poliziotto, si muove con armi hi-tech. Questo androide metà robot e metà casalinga ha come unica arma un ferro da stiro bollente. Un importante filone di ricerca si è dato l’obiettivo di insegnare agli umanoidi a sbrigare faccende tipicamente umane e decisamente noiose. E se la presenza dei robot nell’industria e lungo le catene di montaggio è ormai consolidata, è arrivato il momento di pensare ai pavimenti da lucidare, ai panni da stirare e ai piatti da lavare. Questo umanoide, sviluppato all’Università di Tokyo proprio per aiutarci nelle faccende domestiche, riesce a sollevare da solo una cesta di biancheria da 30 kg. E ci mancherebbe altro, visti i “muscoli”! Dello stesso filone fanno parte i tanti robottini aspirapolvere che ci possono girare tra i piedi in totale autonomia, e… Monty. Apparecchia, sparecchia, carica la lavastoviglie, la mette in funzione e aspetta il giusto per ritirare i piatti puliti e riordinare la cucina… Per adesso solamente con stoviglie di plastica, ma, insomma, c’è speranza!È possibile ridare la vita a una “creatura”? E a un cantante? Dopo Frankenstein, Elvis: un produttore americano di androidi ha infatti “ridato vita” al re del rock’n’roll. O, almeno, al suo busto e alla sua voce. Presentata la scorsa estate, la testa animata, pensante, parlante e cantante di Elvis Presley dovrebbe, secondo le aspettative dei suoi finanziatori, entrare in tutti i locali dove si suona la musica del re di Memphis. Basta dare corrente al marchingegno e la testa del redivivo interagisce col pubblico (grazie alla vista a infrarossi) e canta le canzoni più note, da solo o in duetto. Ancora più chiacchierone di Elvis, il rocker Joey Chaos – la sua testa – è un altro redivivo, messo a punto dal mago della robotica David Hanson. In questa versione Joey non canta, ma risponde alle domande e si produce in lunghe (e noiosissime) dissertazioni politiche.Bello e luccicante come il personaggio di un cartone animato, questo pesce dalle squame color argento e blu elettrico sguazza allegramente nelle vasche del London Aquarium sotto gli occhi (increduli?) dei pesci veri. Uno tra i pochi robot ispirati al mondo marino, RoboFish è stato messo a punto dal dipartimento di robotica dell’Università dell’Essex (Inghilterra) per dimostrare la possibilità di realizzare un sistema di navigazione analogo a quello dei pesci veri, basato cioè sul movimento ondulatorio anziché sulla propulsione generata da turbine o eliche. «L’osservazione dei pesci dimostra che questa tecnica è molto più efficace, oltre che decisamente più silenziosa», spiegano i ricercatori. E nell’attesa che un geniale inventore riesca a creare un transatlantico a moto ondulatorio, i RoboFish sono già i pionieri di una nuova era di esplorazioni nelle profondità oceaniche.È alto appena 17 centimetri, ma ha un fisico che non ha nulla da invidiare a quello di un atleta. Evolta, il robottino-mascotte della Panasonic, ha grinta da vendere ed è pronto per affrontare niente meno che il triathlon. Eccolo mentre mostra le sue doti da nuotatore durante una presentazione a Tokyo. L’androide, che va a pile e si concede qualche pausa soltanto per farsi ricaricare, è anche un bravo ciclista e marciatore: l’anno scorso ha completato una marcia di 500 chilometri da Tokyo a Kyoto, e nel 2008 si è arrampicato su una fune di oltre 500 metri sul Grand Canyon. La sua prossima sfida? L’Ironman Triathlon, una delle sfide più difficili per uno sportivo, 230 chilometri di fatica tra nuoto, corsa e bicicletta, che il robottino affronterà un paio di settimane dopo la gara ufficiale, a partire dal ottobre alle Hawaii.

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