Sollevamento pesi da record per i muscoli artificiali. Fibre polimeriche di varia natura sono state impiegate per ottenere una capacità di contrazione da primato, riuscendo a sollevare fino a 650 volte il proprio peso.
Il futuro è dei muscoli, quelli artificiali, beninteso. Mentre nel mondo dei trasporti si prepara l’epocale transizione dai motori a scoppio ai motori elettrici, per una miriade di applicazioni tecnologiche su una scala dimensionale molto più piccola, parte della ricerca è indirizzata verso attuatori automatici che, per produrre movimento e compiere un lavoro, imitano la contrazione muscolare.
Ne sono un esempio i dispositivi descritti su “Science” in tre articoli: tutti basati su fibre polimeriche intrecciate o avvolte a spirale, la cui microstruttura si modifica in risposta a segnali in ingresso (input) di natura chimica, elettrica o termica. Questa modifica è in grado di produrre nelle fibre un movimento e una tensione con risultati sorprendenti, poiché i nuovi muscoli artificiali sono molto resistenti e leggerissimi, possono arrivare a una densità di energia 50 volte superiore a quella dei muscoli umani e possono sollevare fino a 650 volte il loro peso.
Nel primo articolo, Jiuke Mu dell’Università del Texas a Dallas e colleghi mostrano le potenzialità di una microstruttura costituita da una guaina esterna attiva che racchiude una fibra interna passiva. Per la guaina esterna hanno sperimentato diversi materiali in grado di rispondere a stimoli esterni di varia natura. Un primo polimero, indicato con la sigla PEO-SO3, per esempio, risponde al vapore di etanolo. Un altro, il poliuretano, risponde al calore. Infine, un nanotubo di carbonio risponde agli stimoli elettrochimici. La fibra interna passiva può essere praticamente qualunque fibra commerciale, artificiale o naturale: gli autori hanno sperimentato nylon, bambù e seta, per esempio.
Le prestazioni sono da primato: i muscoli ad attuazione elettromeccanica generano una potenza contrattile di quasi due watt per grammo, cioè 40 volte quella dei muscoli umani e nove volte quella di altri muscoli elettrochimici realizzati prima d’ora. Inoltre, la capacità di rispondere agli stimoli chimici rende il muscolo artificiale di Mu e colleghi ideale per il settore dei sensori medicali, per esempio per misurare il livello di glucosio nel sangue.
Nel secondo articolo, Jinkai Yuan, del Centro di ricerca “Paul Pascal” di Pessac, in Francia, e colleghi, hanno sintetizzato le fibre da una matrice di alcool polivinilico in cui poi sono disperse particelle di ossido di grafene. L’alcool polivinilico è un polimero a memoria di forma: se si porta ad alta temperatura e poi si raffredda bruscamente, adotta una struttura altamente intrecciata. Se successivamente viene riscaldata, assume una struttura lineare, compiendo un lavoro meccanico.
Le prestazioni di questa fibra composita comandata dal calore sono poi notevolmente incrementate dall’ossido di grafene: i test indicano che essa è in grado d’immagazzinare una densità di energia record, 60 volte superiore a quella dei muscoli umani, e può essere riprogrammata e usata almeno dieci volte prima di un cedimento. Yuan e colleghi hanno mostrato l’utilità del loro muscolo artificiale per la propulsione di microscopiche imbarcazioni in modo simile a quello che fanno i flagelli dei batteri.
Nel terzo articolo, Mehmet Kanik del Massachusetts Institute of Technology e colleghi hanno prodotto un muscolo artificiale basato su fibre ottenute per trafilatura da grandi lingotti di polimeri eterogenei, in modo che ogni fibra sia formata da due polimeri differenti ai due estremi. Una volta rilasciata dal processo di estrazione, la fibra si avvolge a spirale spontaneamente e si contrae quando è stimolata termicamente portandola intorno a 40 °C. Grazie alla contrazione, la fibra è in grado di sollevare 650 volte il proprio peso. Queste caratteristiche la rendono adatta ad applicazioni nella robotica e nelle neuroprotesi.
I tre muscoli artificiali hanno dimostrato complessivamente grandi potenzialità. L’inconveniente più evidente, come sottolineano Sameh Tawfick e Yichao Tang, dell’Università dell’Illinois a Urbana Champaign, in un articolo di commento sullo stesso numero di “Science”, è che per ora si tratta di prototipi che con un’efficienza energetica non superiore al sei per cento, ancora largamente insufficiente per le applicazioni pratiche.
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