
• L’EREDITABILITÀ
Dall’analisi delle evidenze precedenti, i due psicologi americani hanno valutato l’intelligenza dal punto di vista dell’ereditabilità. In una scala decimale che va da 0 a 1, questo parametro misura quanto pesa il codice genetico nel dare forma ad una data caratteristica individuale: in pratica, lo 0 indica l’assenza di ereditabilità di un certo tratto della persona, che dunque è completamente plasmato dall’ambiente esterno, mentre l’1 indica invece che il carattere è totalmente dovuto ai geni. Ad esempio, il colore degli occhi ha un quoziente di ereditabilità pari a 0.99, dunque è quasi completamente fissato dalle caratteristiche genetiche, mentre per il quoziente intellettivo la quota di ereditabilità è pari all’80% (punteggio dello 0.8). Ma, da una revisione di diverse evidenze scientifiche, gli autori rilevano che nella prima infanzia le facoltà intellettive risultano molto più modulabili rispetto a quando si è adulti. I ricercatori della Rutger University, infatti, hanno misurato che nei primi anni di vita l’ereditabilità del QI da 0.8 scende a 0.3. Questo significa che da piccolissimi l’influenza dell’ambiente esterno, dunque dell’educazione, è molto forte ed in una scala da 0 a 10 vale ben 7 punti su 10.
• MEGLIO AGIRE DA PICCOLI
Che nei bambini molto piccoli l’intelligenza sia ampiamente modulabile non è una novità, come ha sottolineato Paola Venuti, direttrice del dipartimento di psicologia e scienze cognitive dell’Università di Trento. “Nei primi tre anni di vita, spiega l’esperta, la plasticità cerebrale è massima, mentre in seguito diminuisce perché si sono stabilite le connessioni cerebrali e vengono eliminati via i neuroni che non si sono collegati ad altre cellule nervose, quello che si definisce il processo di pruning”. Ma anche dopo i primi tre anni, chiarisce l’esperta, la plasticità rimane elevata: fino all’adolescenza è possibile modulare le funzioni intellettive con buona riuscita. “In pratica – aggiunge Venuti – questa plasticità c’è anche da adulti e si può sempre agire sui percorsi cerebrali che guidano le funzioni intellettive. Tuttavia da bambini e da adolescenti la possibilità di modulare queste caratteristiche è superiore”. Insomma spiega l’esperta, è un po’ come quando si impara a nuotare o a sciare da adulti, incontrando maggiori difficoltà rispetto a quando lo si fa da bambini.
Il dato nuovo, prosegue Venuti, fornito dallo studio odierno, consiste nella stima dell’ereditabilità pari a 0.3 nella prima infanzia. “Questa quantificazione – illustra la psicologa – conferma come anche nel caso di genitori che non hanno sviluppato particolari doti intellettive, il figlio può ugualmente svilupparle in maniera molto superiore rispetto al genitore”.
• L’IMPORTANZA DELLE RELAZIONI
Per sviluppare queste facoltà, nei primi anni di vita ciò che più conta non è la stimolazione cognitiva, o almeno non soltanto quella, ma soprattutto la stimolazione relazionale e sociale, come chiarisce l’esperta. “In questa fase, sono importantissimi i contatti con gli altri, con la mamma, il papà, con i familiari e con altri esseri umani”. Ma anche dopo i primi tre anni, questo ambito deve essere coltivato in maniera sostanziale. “Ad esempio – spiega Venuti – nell’ambiente scolastico, le aree all’aperto, come i cortili, in cui i bambini possano interagire fra loro ed esplorare il mondo esterno, devono assumere una parte anche più importante rispetto ad altri spazi di studio, come le aule informatiche”. Questo vale soprattutto in una società che sta cambiando, spiega la psicologa, in cui diminuisce il numero di figli e le occasioni di gioco, scoperta e stimolazione dei cinque sensi sono sempre più ridotte.
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