
L’intelligenza artificiale nella sanità italiana: uso crescente, strategia assente. L’indagine fotografa un’adozione disomogenea dell’Ai: le donne ne fanno uso più degli uomini, ma restano escluse dalla leadership. E chiedono formazione, mentoring e un quadro normativo che garantisca etica e inclusività.
C’è un dato che sorprende: a guidarne l’adozione sono spesso le donne, che però non percepiscono l’Ai come una leva per la loro crescita professionale. È quanto emerge dal report “AI e leadership femminile in sanità”, realizzato da Boston Consulting Group in collaborazione con Leads.
Nel settore sanitario italiano, dove le donne rappresentano oltre il 76% della forza lavoro, la diffusione della GenAi è ancora limitata. Più del 60% degli operatori dichiara di non avere familiarità con questi strumenti e l’80% non riceve formazione specifica. Tuttavia, il 58% delle professioniste ha già introdotto la GenAi nei propri team, rispetto al 33% dei colleghi maschi.
Un dato che, osserva Alessandra Catozzella, managing director di Bcg e curatrice dello studio, «è forse spiegabile con la scelta di affrontare il cambiamento in forma collettiva. Le donne, non sentendosi sempre pronte individualmente, spingono i team ad adottare l’Ai per condividere la responsabilità e il rischio».
Una fotografia che evidenzia un paradosso: le donne usano di più l’Ai, ma la considerano meno utile per sé. Solo una su due la percepisce come una possibilità di crescita personale o avanzamento di carriera, e appena il 9% delle intervistate indica l’Ai tra i driver principali dell’adozione.
Il report sottolinea come il gap non sia solo tecnologico, ma anche culturale. Le donne mostrano una maggiore consapevolezza dei rischi legati all’Ai, dal bias algoritmico alla privacy, e si sentono meno supportate. «Il 16% delle donne dichiara di non utilizzare l’intelligenza artificiale perché la percepisce come rischiosa, contro lo 0% degli uomini.
È un segnale importante: non solo manca la formazione, ma manca anche un quadro normativo chiaro», spiega ancora Catozzella.
Il punto critico, aggiunge Juli Hysenbelli, coordinatrice del progetto per Leads, «è che le donne sono più curiose, più aperte alla sperimentazione, ma faticano a vedere nell’Ai uno strumento per la leadership. C’è una sfiducia sistemica che va affrontata con strumenti adeguati, a partire dal mentoring e da una formazione mirata».
Il report propone 10 leve strategiche per un’adozione più equa dell’Ai. Tra queste: programmi di mentoring, formazione continua e inclusiva, progettazione partecipata degli strumenti, e soprattutto il riconoscimento del valore dell’intelligenza emotiva.
«Le donne chiedono più formazione, coaching e un framework normativo che consenta loro di usare l’Ai senza sentirsi esposte. Gli uomini, invece, dichiarano di cavarsela anche con corsi online», sottolinea Catozzella.
Il tema delle competenze è emerso come prioritario. «In Italia non ci sono ancora esperienze strutturate e su larga scala di formazione sull’Ai in sanità – osserva – ma esempi interessanti arrivano da Asia e Nord Europa, dove i governi stanno implementando piani nazionali per formare anche i dipendenti pubblici».
L’intelligenza artificiale promette efficienza e automazione. Ma nel cuore della trasformazione digitale in Sanità resta indispensabile un elemento profondamente umano: l’intelligenza emotiva. E che non è un “nice to have”, ma una competenza chiave.
«È infatti la capacità di riconoscere, gestire e utilizzare in modo consapevole le emozioni per costruire relazioni efficaci, guidare i team, prendere decisioni complesse», si legge nel report. Un’intuizione ben sintetizzata dalla citazione di Amit Ray, uno dei promotori del concetto di Compassionate Ai: “Quanto più l’Ai entra nel nostro mondo, tanto più l’intelligenza emotiva deve entrare nel nostro stile di leadership”.
Una leadership femminile, quindi, che può trovare un vantaggio distintivo proprio in queste competenze. «Il rischio di una sanità senza empatia – avverte Catozzella – è enorme: se l’intelligenza artificiale automatizza anche la decisione di investimento in ricerca, chi garantirà l’attenzione a malattie rare o popolazioni fragili? L’empatia e l’etica devono guidare la tecnologia».
Il report non manca di indicare i limiti del contesto italiano. «Oggi l’adozione dell’Ai in sanità è più tattica che strategica – commenta Hysenbelli – si usa per scrivere mail, sintetizzare testi, cercare dati. Ma manca una visione dall’alto. E soprattutto manca la presenza femminile nei ruoli dove queste scelte si prendono». Solo il 30% dei decisori in sanità è donna. E solo il 30% del personale impegnato nello sviluppo di Ai lo è. Un doppio gap che alimenta la riproduzione dei bias.
«Abbiamo testato esempi concreti – spiega Catozzella – come chiedere a ChatGpt di scrivere un’offerta di lavoro per un primario ospedaliero. Anche in inglese, esce un profilo maschile. È la dimostrazione che i dati usati per allenare gli algoritmi riflettono stereotipi reali, e se le donne non partecipano alla progettazione di questi strumenti, quei bias continueranno a riprodursi».
La mancanza di una strategia nazionale è uno dei nodi. «Le gare pubbliche per la digitalizzazione della sanità, finora, non includevano elementi legati all’Ai. Questo report vuole essere di supporto alle istituzioni dando dei dati che possono aiutare nelle future decisioni» spiega Catozzella.
Il dialogo con il ministero della Salute si è avviato. «C’è pieno riconoscimento del problema – continua – e diverse attività già avviate a partire dall’aggiornamento delle tassonomie delle competenze: il ministero della Salute riconosce nell’Ai un tema centrale e strategico per ridurre il carico amministrativo per i professionisti sanitari e liberare tempo per attività di maggiore valore clinico e gestionale, favorendo la crescita professionale delle persone».
La sanità è uno dei settori che sarà più impattato dall’Ai, con un +85% atteso secondo le stime di Bcg. Un impatto lungo tutta la catena: amministrazione, supply chain, diagnostica, relazioni con i pazienti. «Si stima che nei prossimi anni il 50% delle immagini diagnostiche sarà analizzato da Ai – sottolinea Catozzella – e che due terzi delle interazioni medico-paziente saranno gestibili da agenti automatici. È una rivoluzione. E proprio per questo servono visione strategica e governance etica».
In questo scenario, la leadership femminile può rappresentare non solo un elemento di equità, ma anche una risorsa cruciale. «L’obiettivo – conclude Hysenbelli – è costruire un futuro sostenibile, umano e intelligente. E per farlo servono competenze, mentoring e coraggio di guidare il cambiamento».
Lascia un commento