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Deep Mind, l’intelligenza artificiale corre e impara in metrò

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Deep Mind, l'intelligenza artificiale corre e impara in metrò
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Gli studiosi di Deep Mind spiegano come il sistema elaborato grazie al network neurale utilizzi un ragionamento di base per capire quale mezzo prendere sulla linea della metropolitana. Un passo decisivo per lo sviluppo della memoria futura.

”Elementare, Watson”, commenterebbe Sherlock Holmes. Ma per un computer il ragionamento deduttivo non è tanto elementare, se prima l’uomo non lo riempie di informazioni e dati per arrivare alla soluzione di un problema. Fino ad ora è stato così. Non più: Deep Mind, la start-up londinese sull’intelligenza artificiale acquistata da Google nel 2014 per 400 milioni di sterline nella speranza di compiere rapidi passi avanti in questo campo, ne ha ora fatto uno che viene considerato di cruciale valore. Per la prima volta, una ”macchina” ha risolto problemi solamente attraverso un meccanismo di deduzione, senza avere ricevuto una precedente conoscenza dell’argomento. Problemi semplici, per cominciare: pianificare il miglior percorso fra due distanti stazioni del metrò di Londra o comprendere le relazioni fra parenti in un albero di famiglia. E’ tuttavia il primo passo, commenta il Financial Times, che dà oggi la notizia, verso un ”computer neurale differenziabile”. Per dirla in parole semplici, un computer capace di ragionare da solo.

Gli scienziati di Deep Mind ci sono arrivati combinando un ”network neurale” con la tradizionale memoria dei computer. I network neurali sono dei sistemi connessi modellati su reti neurali biologiche come il cervello. Svolgono un grande ruolo nei recenti progressi fatti nelle ricerche sull’intelligenza artificiale. Finora, tuttavia, erano stati in grado di accedere soltanto a dati contenuti nel proprio network. In un articolo sulla rivista scientifica Nature, la squadra di 20 studiosi di Deep Mind afferma invece di essere riuscita a creare network neurali che accedono a dati esterni, come per esempio testi codificati in convenzionali forme digitali. In grado, insomma, di fare ricerche sul web per conto proprio, come farebbe ognuno di noi per sapere quale è il percorso più breve per andare dalla Victoria Station a Camden Town nell’Underground della capitale britannica.

”E’ una pietra miliare importante e molto interessante nelle ricerche sull’intelligenza artificiale”, la definisce Jay McClelland, direttore del Centre for Mind, Brain and Computation della Stanford University, interpellato dal quotidiano della City. ”Questo è però solo uno studio di ricerca”, avverte Alex Graves, responsabile del progetto, ”richiederà un sacco di lavoro a livello ingegneristico, non voglio fare supposizioni su dove arriverà in termini di soluzioni di problemi pratici”. Ciononostante l’articolo su Nature genera grande entusiasmo negli ambienti scientifici. ”Una volta creata l’architettura generale”, osserva il professor Yoshua Bengio dell’università di Montreal, ”le applicazioni possono essere tante. Si può già immaginare un dialogo con domande e risposte che richieda qualche genere di ragionamento”. Elementare, Watson. Anche per un computer.

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