
Lo scandalo del datagate, meno di tre anni fa, svelò come e quanto i nostri dispositivi fossero trasparenti alle agenzie di sicurezza. Poi le aziende hanno cominciato a dire no alle intrusioni, nonostante l’allarme seguito agli attacchi terroristici. Ma il braccio di ferro continua
Inizia ufficialmente il datagate, cioè lo scandalo globale per i programmi di intercettazione dell’Nsa statunitense svelati dal whistleblower Edward Snowden, ex informatico Cia. Un articolo firmato da Gleen Greenwald e pubblicato dal Guardian rende noto che “la National Security Agency sta attualmente raccogliendo le documentazioni telefoniche di milioni di utenti Verizon”. Ma, oltre a Verizon, sarebbero coinvolte anche altre due compagnie telefoniche: AT&T e Sprint Nextel. È solo l’inizio. Il 7 giugno, sul Washington Post, Barton Gellman e Laura Poitras svelano Prism: si tratta di un sistema che consentirebbe all’agenzia di intelligence USA di accedere direttamente ai server di determinate compagnie digitali. Per fare cosa? “Estrarre chat video e audio, fotografie, email, documenti e log-in di connessione che abilitano gli analisti a tracciare i target stranieri”. Un’intrusione di massa.
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