Il consumo di cannabis provoca problemi intraoperatori

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Anestesia più difficile per chi fuma spinelli. Secondo una ricerca Usa chi fa uso regolare di cannabis ha bisogno di una dose più elevata di anestetico. In certi casi doppia. Gli specialisti si adeguano ma i malati spesso mentono sui loro consumi.

LA CANNABIS potrebbe influenzare l’efficacia e dunque il dosaggio necessario per l’anestesia. A sostenerlo è uno studio sui dati di pazienti sottoposti a procedure endoscopiche che richiedono la sedazione: quelli che fumavano o consumavano la marijuana dovevano essere sedati con una dose maggiore del farmaco anestetico, in certi casi anche doppia. I risultati dell’analisi – realizzata da tre ricercatori del centro medico Western Medical Associates, del Community Hospital di Grand Junction in Colorado e della Rockhurst University di Kansas City – sono pubblicati su the Journal of the American Osteopathic Association. Ecco le implicazioni di questo risultato.cannabis, operazioni chirugiche, anastesia

I risultati dello studio

I ricercatori hanno esaminato i dati clinici di 250 persone, in Colorado, sottoposte a sedazione per una gastroscopia o una colonscopia. I dati sono stati raccolti dopo il 2012, anno in cui in questo stato l’uso ricreativo della cannabis è diventato legale (mentre in Italia e in molti altri paesi rimane vietato). I farmaci presi in considerazione sono quelli utilizzati per la sedazione durante le endoscopie e altre procedure cliniche, fra cui il midazolam, una benzodiazepina, il fentanyl, un oppioide, e il propofol, un anestetico ad azione ipnotica.

Dall’analisi emerge che ai pazienti che facevano uso di cannabis doveva essere somministrata una dose più alta di farmaci sedativi, aumentata del 14% nel caso del fentanyl, del 20% nel midazolam e del 220% (più che doppia) se si usava il propofol. Anche tenendo conto degli effetti dovuti all’eventuale assunzione di alcol, di altri oppioidi e di benzodiazepine, il collegamento fra cannabis e sedazione persisteva.

E gli effetti collaterali?

“A fronte di questi dati – spiega il ricercatore Mark Twardowski, primo autore della ricerca – c’è preoccupazione riguardo al possibile aumento dei disturbi indesiderati. Alcuni farmaci sedativi hanno effetti collaterali dose-dipendenti. Questo fenomeno diventa particolarmente pericoloso, considerando che la soppressione della funzione respiratoria è un noto effetto collaterale”. La preoccupazione dei ricercatori riguarda soprattutto la mancanza di ricerche sul tema, che richiede un aggiornamento nell’ambito delle scienze anestesiologiche, anche alla luce della recente legalizzazione della cannabis in diversi paesi. Questo studio, spiegano gli autori, pur con dei limiti, come il fatto che si tratta di un’analisi su dati già raccolti, fornisce una prova del legame fra l’assunzione di cannabis e il dosaggio della sedazione. Per queste ragioni, concludono, diventa sempre più necessario un aggiornamento nel campo delle scienze anestesiologiche, concludono gli autori della ricerca.

Gli anestesisti devono aggiornarsi

“Lo studio presenta dei limiti, come il fatto che sia retrospettivo, messi in luce dagli stessi autori”, commenta Flaminia Coluzzi, docente di Anestesia, rianimazione e medicina del dolore alla Sapienza Università di Roma, non coinvolta nello studio. “Tuttavia risulta interessante perché richiama l’attenzione su un tema ancora poco dibattuto”. Il consumo di sostanze di abuso è in grande crescita, soprattutto fra i giovani, prosegue l’esperta, ma aumenta anche il numero di pazienti, principalmente anziani, che assumono oppioidi a scopo terapeutico. E tutti questi casi rappresentano una problematica emergente per gli anestesisti. Questi soggetti, infatti, avranno esigenze differenti (non necessariamente aumentate) per la sedazione e per l’anestesia vera e propria, quella totale, che si effettua in sala operatoria. “In questo senso ci stiamo aggiornando – aggiunge Coluzzi – ad esempio abbiamo steso un documento ufficiale, insieme alla Siaarti (Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva), con alcuni punti fermi su come gestire questa tipologia di pazienti, che generalmente hanno comorbilità correlate all’uso di tali sostanze, soprattutto se consumate a scopo ricreativo, e che possono manifestare specifici problemi intraoperatori”.

Il paziente deve informare l’anestesista

In generale l’anestesista chiede sempre, durante la visita pre-anestesiologica, se la persona sta assumendo sostanze stupefacenti a scopo terapeutico o ricreativo, come sottolinea Coluzzi. “Il problema principale è che il paziente molto spesso mente pur di non rivelare il consumo ricreativo”, chiarisce l’esperta. “Quanto di più sbagliato. Informare lo specialista, infatti, è importante per personalizzare il tipo e il dosaggio dell’anestesia, che è come un abito su misura, e anche per una migliore gestione del dolore post-operatorio”.

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