Borderline

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“una malinconia terribile aveva invaso tutto il mio essere; tutto destava in me sorpresa e mi rendeva inquieto. mi opprimeva la sensazione che tutto era, ai miei occhi, estraneo, e comprendevo benissimo che quell’essere tutto estraneo mi uccideva.” F.dostoevskij

Il termine borderline derivante dall’inglese “Border” (confine) e “line” (linea), fa riferimento in un senso più generico e ampio a qualcosa che non è esattamente definibile, che si trova cioè in una posizione intermedia tra due condizioni o stati ben definiti.

Da un punto di vista psicologico invece, si fa riferimento a un disturbo della personalità caratterizzato da forte instabilità nelle relazioni, nella stima di sé, nell’umore, e da marcata impulsività.

Da un punto di vista storico, tra i primi autori che si interessarono a forme di comportamento anomale, cioè situate a “metà strada” tra la normalità è la follia, si possono ricordare Hughes(1884) e poi Rosse (1890), il quale parlò esplicitamente di borderline insanity per definire coloro che oscillavano alternativamente tra la ragione e la follia.

Nella nosografia di Kraeplin e Bleuler non compare mai il termine borderline, in quanto il primo parlava di “temperamenti” come quello depressivo, maniacale, ciclotimico e così via, mentre il secondo descriveva quadri assimilabili al disturbo borderline, in cui una disposizione schizofrenica latente incideva su forme morbose apparentemente nevrotiche.

Con l’avvento della psicoanalisi, il dibattito rispetto all’utilizzo del termine borderline si spostò per concentrarsi sulla analizzabilità o meno dei pazienti, ovvero sulla loro capacità di sviluppare un transfert.

Freud effettuò inizialmente una suddivisione tra “nevrosi di transfert” ossia annesse all’isteria e nevrosi ossessiva e quindi trattabili col metodo psicoanalitico, e “nevrosi narcisistiche”, ossia paranoia e schizofrenia, impossibili da trattare con il metodo classico; il differenziare così la nevrosi dalla psicosi, portò successivamente diversi psicoanalisti a rendersi conto che vi erano quadri clinici che si collocavano in un’area intermedia, cioè che oscillavano da una forma apparentemente nevrotica ma difficile da trattare, a dalle manifestazioni più vicine alla psicosi.

Nonostante questo, il termine borderline rimase fuori uso, in quanto si riteneva che tale disturbo fosse da ricondurre direttamente alla schizofrenia.

In ambito psicodinamico è stato Adolph Stern (1938) a utilizzare il termine borderline per indicare quei pazienti apparentemente nevrotici che non miglioravano dopo il trattamento analitico e con aspetti strutturali particolari evidenziati nella regressione transferale.

Diversi anni dopo Robert Knight (1953) sottolineò come questi pazienti nascondessero una severa debolezza dell’Io, iniziando così a concepirli come un’entità nosografica abbastanza autonoma.

Infine, nel 1968 Roy Grinker, partendo da analisi statistiche individuò 4 sottogruppi di pazienti, di cui il 1°collocabile al bordo delle psicosi, con lacune nell’esame di realtà e comportamento inappropriato; il 2°, o nucleo della sindrome borderline, con affetti negativi e difficoltà nel mantenere relazioni interpersonali stabili; il 3°, caratterizzato invece da perdita generalizzata di identità e acting out aggressivi; e infine il 4°, collocabile al bordo della nevrosi, con manifestazioni depressive anaclitiche e tratti narcisistici.

In una prospettiva psicoanalitica, fu Otto Kernberg (1975) a coniare l’espressione di “organizzazione di personalità borderline”, attraverso un’integrazione teorica tra Psicologia dell’Io e Teoria della relazioni oggettuali.

La concezione di Kernberg fa riferimento a un’organizzazione di personalità, collocabile tra le nevrosi e le psicosi, da intendersi come una modalità di funzionamento essenzialmente intrapsichica, specifica e stabile nel tempo. Identifica quattro caratteristiche chiave:

– manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io (mancanza di tolleranza dell’angoscia, mancanza di controllo degli impulsi, mancanza di canali sublimatori evoluti);

– scivolamento verso processi di pensiero primario;

– operazioni difensive specifiche (scissione, idealizzazione primitiva, diniego, onnipotenza, svalutazione e identificazione proiettiva);

– relazioni oggettuali patologiche interiorizzate.

Per Kernberg l’organizzazione di personalità borderline sarebbe sottostante a diversi disturbi di personalità, tra cui il disturbo schizoide, il paranoide, l’antisociale e il narcisistico.

Dal punto di vista psicoterapeutico, Kernberg propone un approccio espressivo in cui il terapeuta ricorra all’interpretazione, confronto e chiarificazione non solo dei vissuti inconsci del paziente, ma anche di quelli consci, i quali spesso risultano contraddittori e alternanti a causa del massiccio e frequente impiego della scissione come meccanismo di difesa predominante.

L’interpretazione dovrà quindi rifarsi prevalentemente al “qui e ora” della seduta e non solo al materiale del passato.

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