
“Così ho effettuato il primo trapianto di pene negli Usa”. Parla Curtis Cetrulo il chirurgo americano che lavora in quella che rappresenta una nuova frontiera per la medicina. Un intervento necessario per chi ha subito l’amputazione dell’organo a causa del cancro o per lesioni important SI VA da traumi pelvici a circoncisioni finite male, fino al carcinoma del pene che, nei casi più gravi, prevede l’amputazione dell’organo. Sono queste alcune delle cause più comuni che costringono milioni di uomini nel mondo a rinunciare alla vita sessuale, convivendo con un carico psicologico importante.
Ma ora questo problema può essere risolto con un trapianto.Il chirurgo americano Curtis Cetrulo, del Massachusetts General Hospital di Boston, è uno dei massimi esperti in materia. Ha portato avanti con successo il terzo trapianto di pene al mondo, il primo negli Stati Uniti, una speranza per tutte le persone che potrebbero trarre beneficio da questo tipo di operazione. Si è parlato di questa nuova frontiera della chirurgia al congresso Frontiers in Genito-Urinary Reconstruction che si è appena concluso a Policlinico di Tor Vergata, a Roma. Fra gli ospiti esperti italiani e internazionali anche Cetrulo che ha parlato dei rischi e le incognite di un intervento del genere: dal fallimento dell’intervento al rigetto dell’organo, così come infezioni, necessità di un secondo trapianto dopo alcuni anni, e una terapia immunosoppressiva a vita che comporta rischi per la salute dei reni e tumori.
Nonostante ciò il chirurgo americano è riuscito, insieme a una numerosa équipe di specialisti, a portare a termine il trapianto del pene, una procedura molto complessa – nota come Allotrapianto composito vascolare (Vca) – che richiede la connessione multipla di tessuti, muscoli, nervi, vasi sanguigni e pelle, un’orchestra che deve funzionare sia per urinare che per consentire l’attività sessuale e perché no, la procreazione. “L’idea di provare a eseguire questo tipo di operazione – spiega Cetrulo – venne dai promettenti risultati di trapianti della mano e della faccia; così abbiamo detto: ‘Perché non farlo anche sul tessuto genito-urinario?’ Abbiamo quindi esteso un protocollo partendo dal trapianto di mani e faccia a questo tipo di tessuto, raccontando il motivo che lo ha spinto a intraprendere questa complessa operazione – Il punto era riuscire a trattare tutti quei giovani feriti in guerra o quelli che hanno perso il tessuto genito-urinario a causa del cancro”.
Adesso sta lavorando a nuove tecniche per rendere questo tipo di operazione più sicura: una delle sfide è riuscire a trovare un modo per ridurre il rischio di rigetto evitando la somministrazione dei farmaci immunosoppressori, necessari ad oggi per chi si sottopone all’allotrapianto – la sostituzione di un organo o di un tessuto con un altro prelevato da un altro individuo. Questo perché tali farmaci, se assunti per lunghi periodi, possono provocare gravi problemi renali e tumori: “Per ridurre il rischio di rigetto in seguito all’allotrapianto, il nostro obiettivo – continua Cetrulo – è ora quello di evitare l’uso di farmaci immunosoppressori con una nuova strategia, basata sulle cellule staminali: dare al ricevente le cellule staminali del donatore di trapianto nello stesso momento in cui viene trapiantato il pene. Questo significa che il ricevente è come se fosse un ibrido o una ‘chimera’. In questo modo quelle cellule staminali possono aiutare chi si sottopone al trapianto a riconoscere il tessuto e a non rifiutarlo”.
Il chirurgo americano spiega come tale meccanismo possa funzionare: “Si tratta di iniettare le cellule staminali nel sangue del ricevente, le quali vanno nel midollo osseo per poi differenziare in cellule T protettive, che inducono la tolleranza al trapianto (sappiamo che questo avviene bene per il rene, ma solo da madre a figlia). Abbiamo un buon protocollo per l’utilizzo di cellule staminali che testeremo sulle persone molto presto”.
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