
Corea del Nord e test nucleari: che cosa si può capire dai terremoti? Come si distinguono le onde sismiche causate da un’esplosione da quelle naturali? Come si calcola l’entità della deflagrazione? E che cosa dice la sismologia sul test del 3 settembre? La scienza del monitoraggio atomico, a domande e risposte.
Nella notte tra sabato e domenica la Corea del Nord ha annunciato di aver compiuto con successo il suo sesto test nucleare, e di aver fatto esplodere una bomba all’idrogeno studiata per essere montata su un missile balistico a lungo raggio. Nelle stesse ore due terremoti, di magnitudo 6.3 prima e 4.6 poi (il primo causato dalla deflagrazione, il secondo forse dal crollo del tunnel del sito nucleare coreano di Punggye-ri) sono stati avvertiti nel nord ovest del Paese ma anche in Cina, e rilevati da Corea del Sud e Giappone.
Come la rete sismica tiene traccia di queste esplosioni, e che cosa si può dedurre dalle rilevazioni? Le domande più comuni – e le risposte – su questo tema.
DA QUANDO I RILEVATORI SISMICI MONITORANO I TEST NUCLEARI? Praticamente dall’inizio dell’era atomica. Nel 1946, i test nucleari statunitensi nell’Atollo di Bikini fecero sobbalzare i sismometri di tutto il mondo. Si capì che questi strumenti potevano tener traccia delle esplosioni atomiche: nasceva così la sismologia forense.
Con l’avvio della Guerra Fredda, i test nucleari si spostarono sottoterra. Per individuare le più tenui vibrazioni si pensò a una rete sismica più sensibile, con sismometri sistemati a pochi km di distanza l’uno dall’altro. Rispetto ai singoli strumenti, una rete di sismometri è in grado di rilevare spostamenti del suolo dell’ordine di un milionesimo di centimetro, anche a grande distanza dal sito dell’esplosione.
Nel 1996, con il Trattato di bando complessivo dei test nucleari, si stabilì un sistema di monitoraggio internazionale con oltre 50 stazioni di rilevazione sismica in tutto il mondo.
Questo apparato è composto da
– sismometri e sismografi, che non solo rilevano, ma registrano anche l’onda;
– rilevatori di infrasuoni (per le onde sonore a frequenze molto basse riconducibili alle esplosioni atomiche);
– strumenti idroacustici per le onde d’urto che viaggiano negli oceani e
– rilevatori di radionuclidi per sniffare i gas radioattivi generati dai test (come quelli impiegati per indagare la natura del secondo sisma di ieri).

A QUESTO PUNTO, COME SI DISTINGUE UN TERREMOTO DA UN’ESPLOSIONE NUCLEARE? Una delle strade principali è misurare la profondità del terremoto. Neanche con le moderne tecniche di perforazione del suolo permettono di collocare una testata nucleare a più di pochi km dalla superficie. Se dunque un sisma proviene, poniamo, da una profondità di 10 km, sicuramente non è stato causato da un test atomico.

CHE COSA CI DICE LA SISMOLOGIA SULL’ULTIMO TEST? I dati sismologici hanno rilevato un’esplosione, ma non possono dirci se si sia trattato di un test nucleare (né se si sia trattato di un “tradizionale” ordigno a fissione nucleare o di una bomba termonucleare all’idrogeno). Per avere la conferma definitiva occorre affidarsi al monitoraggio dei radionuclidi in loco.
Quello che possiamo stabilire con sicurezza è l’entità dell’esplosione, ben più devastante dell’ultima avvenuta nel settembre 2016. Si stima che quella del 3 settembre 2017 sia stata equivalente allo scoppio di 120 kilotoni di dinamite, 8 volte più devastante di quella della atomica su Hiroshima e 6 volte quella che colpì Nagasaki. Nonostante i limiti evidenziati, la rete di monitoraggio sismico è estremamente sensibile e affidabile nel rilevare questi test, come purtroppo confermano le informazioni arrivate dai Paesi limitrofi.
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