I robot con pelle che si autoripara da sola

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Pelle robotica che si ripara da sola? C’è già un prototipo. Un team di ingegneri dell’Università del Nebraska–Lincoln ha presentato un progetto davvro interessante nel segmento della robotica.

Il gruppo guidato da Eric Markvicka, insieme agli studenti Ethan Krings e Patrick McManigal, ha realizzato un muscolo artificiale capace di autoripararsi in autonomia, replicando in parte il comportamento della pelle umana.

Il loro lavoro ha recentemente attirato l’attenzione internazionale all’IEEE International Conference on Robotics and Automation di Atlanta, dove è stato selezionato tra i migliori 39 articoli su oltre 1.600 presentati.

L’idea alla base del progetto nasce dal desiderio di colmare una delle lacune più complesse della robotica morbida e della biomimetica: rendere i materiali non solo flessibili e adattabili, ma anche capaci di reagire ai danni senza intervento esterno.

Il risultato è una struttura a tre strati: alla base si trova una pelle elettronica in silicone con microgocce di metallo liquido, in grado di individuare con precisione i danni; sopra di essa uno strato centrale di elastomero termoplastico, che rappresenta la parte autoriparante; infine, uno strato di attuazione che consente il movimento attraverso l’iniezione d’acqua.

Il funzionamento è sorprendente: quando il materiale subisce una lesione, la pelle elettronica la rileva automaticamente. A quel punto, un sistema integrato di correnti elettriche indirizza maggiore energia proprio nella zona danneggiata, trasformandola in una sorta di “riscaldatore a effetto Joule”. Il calore generato scioglie l’elastomero e ne consente la saldatura, riparando la lacerazione.

Ma la parte più innovativa è il “reset”: una volta completata la riparazione, la traccia elettrica del danno viene eliminata attraverso un processo chiamato elettromigrazione, solitamente considerato un difetto nei circuiti. In questo caso, però, viene sfruttato per cancellare selettivamente il percorso del danno, rendendo il sistema riutilizzabile più volte.

Le potenziali applicazioni di questa tecnologia sono molteplici. Nell’ambito agricolo, per esempio, i robot che lavorano nei campi rischiano di essere danneggiati da oggetti appuntiti come spine o frammenti di plastica. Un muscolo artificiale in grado di curarsi da solo prolungherebbe la vita utile delle macchine, riducendo costi e manutenzioni.

Anche i dispositivi medici indossabili potrebbero trarre vantaggio da una simile capacità di autoriparazione, migliorando l’affidabilità in condizioni d’uso quotidiane. Non meno rilevante è l’impatto ambientale: estendere la durata dei dispositivi elettronici significa anche ridurre i rifiuti elettronici, contribuendo alla tutela della salute umana e dell’ambiente.

Secondo Markvicka, questo passo rappresenta un’evoluzione importante nella direzione di macchine e materiali più intelligenti, in grado di rispondere al danno come farebbe un organismo vivente. Se in futuro riuscissimo a sviluppare materiali capaci non solo di adattarsi, ma anche di guarire da soli, si aprirebbero nuovi scenari in settori come la robotica, l’elettronica di consumo, la medicina e persino l’esplorazione spaziale.

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