Rischio esplosione debito pubblico paesi emergenti

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Rating, ecco tutte le mine vaganti del debito globale. Primo esame per l’intoccabile Germania fra i sovrani.Ma gli analisti guardano con timore alle imprese americane e soprattutto al mondo emergente. E l’Italia resta in bilico su junk,

All’atto pratico la perdita del rating «Tripla A» di Fitch non ha un impatto rilevante sotto l’aspetto strettamente tecnico, né rappresenta una novità per gli Stati Uniti, che avevano già da tempo perso il massimo dei voti tanto per S&P Global Ratings quanto per Scope Ratings.

Il declassamento della prima economia mondiale è però un evento che non può passare inosservato proprio perché indice di un fenomeno, quello della crescita smisurata dei debiti di enti governativi e non registrata su scala globale dopo l’ondata pandemica, che rischia di sfuggire di mano nel nuovo contesto economico di tassi di nuovo elevati e possibile recessione.

L’intoccabile Germania sotto esame

Rating, ecco tutte le mine vaganti del debito globale Lo sguardo rischia inoltre di spostarsi inevitabilmente sugli altri Stati: primo fra tutti la Germania unica tra i big a mantenere il giudizio «Aaa» che finirà all’esame di Moody’s il prossimo 11 agosto, ma anche l’Italia che staziona perennemente in bilico sull’orlo del junk o «spazzatura». Qualche settimana fa la stessa Scope ricordava come del resto un Paese su quattro avesse un outlook negativo e fosse quindi a rischio bocciatura.

Il declassamento Usa non impatta sui portafogli perché la maggior parte degli investitori è più flessibile rispetto a un criterio strettamente Aaa. Martina Daga AcomeA

Il fatto che gli Usa non siedano più comodamente nella fascia massima di rating «non dovrebbe avere un impatto troppo rilevante sull’ammissibilità dei titoli di Stato in determinati portafogli, dal momento che ormai la maggior parte degli investitori è più flessibile rispetto a un criterio strettamente Aaa», ammette Martina Daga, economista di AcomeA. Resta il fatto che il debito pubblico di Washington è in costante crescita e ha ormai superato quota 30mila miliardi di dollari, secondo quanto ricorda l’International Institute of Finance (Iif) .

L’illusorio confronto con il Pil

Serve in fondo a poco segnalare che in confronto al Pil quello stesso valore si sia in realtà ridotto al 116% alla fine del primo trimestre 2023 (oltre dieci punti in meno dal picco di fine 2020) principalmente per effetto dell’inflazione elevata che va a gonfiare il valore nominale della crescita. Questo perché l’ulteriore deterioramento delle condizioni fiscali che si prevede in un futuro ormai prossimo in cui il costo del debito pubblico è elevato e crescente, insieme ai problemi di governance manifestati anche in occasione della questione dell’aumento del tetto poi risolta (le motivazioni addotte da Fitch per il taglio di ieri), non lasciano certo dormire sonni tranquilli.

Il ragionamento vale anche per i debiti contratti da famiglie e imprese a stelle e strisce, balzati rispettivamente a 19mila e 20mila miliardi, la cui sostenibilità sarebbe a detta di molti ancora più a rischio nel nuovo scenario di tassi più alti e più a lungo che si profila. E si estende purtroppo al resto del mondo, dove la «zavorra» è tornata su scala globale e in termini assoluti (considerando cioè Stati, banche, imprese e famiglie) a superare secondo Iif i 300mila miliardi.

Le preoccupazioni per gli emergenti

In questo caso a preoccupare non sono tanto le economie avanzate, dove si registra ancora una contrazione rispetto ai livelli raggiunti post-Covid tranne qualche situazione particolare come le già citate imprese Usa, ma i Paesi emergenti. Il debito contratto nelle aree in via di sviluppo ha infatti superato i 100mila miliardi e vale ormai un terzo di quello complessivo: in un periodo di stabilità precaria, sotto l’aspetto finanziario ma anche politico, la vera mina vagante rischia forse di essere proprio questa.

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