
Sono note un po’ a tutti le ardimentose spedizioni navali che i Vichinghi intrapresero dal IX all’XI secolo nel Nord Atlantico, e che li portarono a raggiungere dapprima l’Islanda, quindi la Groenlandia ed infine le coste del Nordamerica, in tre regioni che vennero da loro battezzate Helluland (terra dei ghiacci), Markland (terra delle foreste) e Vinland (terra del vino). A lungo contestata e considerata una semplice narrazione mitologica, quest’ultima scoperta venne infine provata definitivamente dalla scoperta dei resti archeologici a L’Anse-aux-Meadows, sull’isola di Terranova, nel 1961, che dimostrò senza ombra di dubbio che i navigatori scandinavi erano giunti almeno sino a quella località.
Si sa che i temerari norreni effettuarono i loro viaggi esplorativi anche oltre questi celebri luoghi, spingendosi certamente ben in profondità nell’Artico canadese. Le notizie delle loro scoperte, tuttavia, restarono confinate nel nebuloso campo delle saghe, dove la realtà si mescola inestricabilmente con la fantasia, rendendo quanto meno arduo riuscire a ricavarne qualche elemento storico davvero valido. In questo quadro si pone la possibile scoperta di un’altra terra, il cosiddetto Hvitramannaland, o terra degli uomini bianchi, chiamato anche Grande Irlanda o, in latino, Hibernia major o Albania.
La prima menzione di questa regione compare nel Landnamabok, che, riportando le parole di un certo Hrafn Limerick-Farer, afferma che verso il 983 un islandese, Ari Marsson, dopo aver navigato per sei giorni ad ovest dell’Irlanda, giunse appunto a Hvitramannaland, dove venne battezzato e trattenuto dagli abitanti. Thorkell Gellisson affermò che altri Islandesi gli avevano riferito di aver appreso dal conte delle Orcadi Thorfinn (che regnò dal 1014 al 1064) che in seguito altri Norreni giunsero sul posto e riconobbero Ari, al quale però non fu permesso di tornare indietro con loro.
Anche l’Eiriks saga si occupa incidentalmente di questa terra leggendaria. Vi si legge infatti che Thorfinn Karlsefni, navigando dal Vinland verso la Groenlandia, si imbattè nel Markland in un gruppo di cinque Skraelingar (Eschimesi o Algonchini): i tre adulti fuggirono, ma due bambini furono catturati dai Norreni e portati via con loro. Da essi Thorfinn apprese molte notizie sui territori atlantici nordamericani, e tra l’altro che di fronte alla loro terra abitavano strani uomini che indossavano indumenti bianchi, lanciavano forti urla e portavano lunghi pali con frange; egli pensò allora che stessero parlando del Hvitramannaland.
Un’ultima possibile descrizione di questa misteriosa regione potrebbe giungerci dall’Eyrbyggia saga. Secondo questo testo, un altro navigatore islandese, Gudleif Gudlaugson, partito (probabilmente intorno al 1029) da Dublino e diretto in Islanda, fu sorpreso in mare aperto da venti contrari, che lo spinsero prima verso ovest, poi a sud-ovest, sino ad approdare su una grande terra sconosciuta, dove incontrò alcuni indigeni, che sembrava parlassero in irlandese. Poco dopo questi ultimi tornarono in forze, catturarono Gudleif ed il suo equipaggio e li portarono all’interno, nel loro villaggio, dove, a quanto pare, iniziarono a discutere se fosse meglio uccidere o fare schiavi gli stranieri. In questo drammatico frangente comparve un uomo che sembrava detenere una qualche autorità presso quella comunità, che si rivolse ai Norreni parlando nella loro lingua e intercesse per loro, facendoli liberare. Egli chiese notizie sugli abitanti di Borgarfjord e Breidafjord, in Islanda, ma non volle rivelare la propria identità, nel timore che i suoi parenti tentassero di raggiungerlo ed incorressero in qualche pericolo. In seguito gli Islandesi pensarono che si trattasse di Bjorn Asbrandsson Breidvikingakappi, mandato in esilio circa trent’anni prima e di cui non si era saputo più nulla.
Fin qui le notizie dirette sul Hvitramannaland; in seguito esso è citato in diversi testi più tardi.
Il geografo arabo al-Idrisi, che nel XII secolo scrisse la “Tabula Rogeriana” per conto del re normanno di Sicilia Ruggero I, vi menzionò Irlandah-al-Kabirah (la Grande Irlanda), che secondo lui distava dall’Irlanda propriamente detta solo un giorno di navigazione.
Un testo islandese trecentesco, l’Hauksbok, descrive gli abitanti di questa terra come bianchissimi di pelle e di capelli, e li chiama Albani.
Infine, un altro testo islandese, stavolta cinquecentesco, afferma che un certo sir Erlend Thordson era in possesso di una carta geografica del Hvitramannaland, posta ad ovest della Groenlandia.
Come di consueto, la questione sulla reale esistenza o meno di questa terra è stata oggetto di lunghi ed appassionanti dibattiti. Gran parte degli studiosi pensa che Hvitramannaland sia solo un luogo mitico, creato dagli scrittori islandesi sulla base delle leggende narrate dagli Irlandesi, come quella sulle mitiche isole di San Brendano.
Proprio da qui, tuttavia, potrebbe nascere una possibile verosimiglianza su tutta la vicenda. E’ ormai risaputo che i Vichinghi non furono i primi a colonizzare le isole del Mare del Nord e l’Islanda: prima di loro, esse furono raggiunte ed abitate da avventurosi monaci irlandesi, chiamati papar. Costoro, anacoreti che dedicavano l’intera esistenza a Dio e che di solito rifuggivano la vicinanza con altri esseri umani, avevano già popolato le Shetland e le Far Oer al momento dell’inizio dell’espansione vichinga. Dopo tale evento si erano spinti con le loro semplici imbarcazioni (i curragh) ancora più ad ovest, in Islanda, dove ancor oggi alcuni nomi di luogo (ad esempio l’isola di Papey) ricordano la loro presenza. Potrebbe essere che, al momento dell’arrivo dei Norreni anche su quest’isola, questi monaci abbiano cercato qualche altra terra più ad ovest in cui vivere in pace, e che alcuni di essi siano infine giunti in Nordamerica. Naturalmente, dato il loro status di religiosi, non ebbero l’opportunità di dare vita ad una comunità in grado di sopravvivere alla loro morte, a meno che non fossero riusciti a convertire qualche popolazione indigena, della quale sarebbero poi stati a capo. In effetti le segnalazioni di contatti diretti con gli abitanti del Hvitramannaland vanno dal 983 al 1029 circa, dopo di che non se ne hanno più notizie di prima mano, anche perché i viaggi dei Norreni verso l’America si fecero più radi.
Un riferimento molto più tardo può forse essere trovato nel resoconto pubblicato nel 1558 dal nobile veneziano Nicolò Zeno sui viaggi esplorativi compiuti nell’Atlantico settentrionale da un suo omonimo antenato e da suo fratello Antonio sulla fine del XIV secolo. Secondo questo racconto, i due navigatori avrebbero scoperto varie terre, tra le quali l’Estotiland, abitata da genti che parlavano una lingua sconosciuta, ma che conservavano dei libri scritti in latino, che non erano più in grado di comprendere. Potrebbe trattarsi di una comunità indigena che era stata raggiunta dai papar, che l’avevano retta fino alla loro morte. Tuttavia è ancora dibattuto se tale narrazione debba considerarsi almeno in parte veritiera o se sia stata inventata di sana pianta.
Esistono anche racconti di alcune tribù amerinde, raccolti dai primi esploratori europei del XVI secolo, che narrano dell’esistenza di una terra che potrebbe essere identificata con il Hvitramannaland. Il più famoso è quello che il francese Jacques Cartier ascoltò dal capo irochese Donnacona, da lui catturato nella zona del Golfo di San Lorenzo e portato prigioniero in Francia nel 1535: secondo costui, esisteva nel Canada un regno, detto di Saguenay, abitato da uomini dai capelli biondi e ricco di oro e di argento.
Una simile leggenda fu raccolta nell’Ottocento dallo studioso danese Carl Christian Rafn presso la tribù degli Shawnees, che però ponevano la sede di questa terra molto più a sud, nella baia di Chesapeake.
Ammesso che tali leggende contengano un fondo di verità, resterebbe da chiarire se esse si riferiscano proprio al Hvitramannaland, e non magari ad un confuso ricordo dei precari insediamenti norreni in Nordamerica.
Come sempre, sino al momento in cui non ci sarà, se mai dovesse esserci, qualche rinvenimento archeologico della portata di quello di L’Anse-aux-Meadows, non sarà possibile dire una parola definitiva su tutta la vicenda, cercando di tenersi lontani tanto da eccessivi entusiasmi quanto da estremi scetticismi.
Lascia un commento