Ancora non si coltivano i terreni intorno a Chernobyl

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Vasti appezzamenti di terre attorno a Chernobyl sono tornati coltivabili. Fuori dalla zona di esclusione di Chernobyl molte terre agricole sono di nuovo sicure da usare. Permetterlo però potrebbe aprire problemi politici.

Numerosi campi situati nelle zone limitrofe all’ex centrale nucleare di Chernobyl e ancora formalmente classificati come radioattivi, sono tornati ad essere sicuri per le coltivazioni. Lo affermano gli scienziati della National University of Life and Environmental Science ucraina, che da oltre un decennio monitorano i livelli di radioattività del suolo della zona.

Il peggiore disastro atomico di sempre. La catastrofe nucleare di Chernobyl del 26 aprile 1986, con la fusione del nocciolo e l’esplosione del reattore 4 sprigionò una nube carica di particelle radioattive cinquecento volte più micidiale di quella prodotta dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki, diffuse dai venti su intere regioni delle attuali Ucraina, Bielorussia e Russia, e in misura minore fino all’Europa occidentale.

I terreni assorbirono dall’atmosfera isotopi radioattivi di cesio, stronzio, iodio, plutonio; la zona più contaminata attorno all’impianto, abitata da circa 336.000 persone, fu evacuata, e in vaste aree l’agricoltura fu interdetta.

Nel Suolo ospiti indesiderati

Le maggiori preoccupazioni per la salute erano date dallo iodio-131, un radioisotopo dello iodio estremamente tossico che danneggia le cellule in cui riesce a penetrare e che si accumula nella tiroide, causando un’aumentata incidenza di cancro. Questo però ha un’emivita o tempo di dimezzamento (cioè il tempo occorrente per ridurre alla metà la quantità di un isotopo radioattivo) di soli 8 giorni, e quindi è arrivato a livelli praticamente irrintracciabili in breve tempo.

Diverso è il discorso per altri radioisotopi come il cesio-137 e lo stronzio-90, che hanno un’emivita di 30 anni e sono quindi, benché in concentrazioni più che dimezzate, ancora presenti nei suoli della regione.

Terreni recuperabili

Nell'immagine acquisita da un drone, un campo bruciato in un incendio forestale nella zona di esclusione attorno alla centrale di Chernobyl, nella municipalità di Pryp"jat' (Ucraina). Shutterstock
Nell’immagine acquisita da un drone, un campo bruciato in un incendio forestale nella zona di esclusione attorno alla centrale di Chernobyl, nella municipalità di Pryp”jat’ (Ucraina). Shutterstock

I livelli di contaminazione del suolo nella zona di esclusione di Chernobyl (un territorio nel raggio di 30 km dall’impianto nucleare a lungo interdetto all’accesso umano, che potrebbe diventare una riserva naturale) sono in molti punti ancora elevati.

Ma in circa 2.600 ettari di campi attorno ai villaggi di Narodychi e Vyazivka, all’epoca evacuati, i livelli di radioattività del suolo misurati nel 2023 dagli scienziati della National University of Life and Environmental Science ucraina sono risultati al di sotto della soglia considerata pericolosa. E si stima che al di fuori della zona di esclusione ci siano 130.000 ettari di campi che potrebbero tornare ad essere coltivati, se ricerche più ampie ne confermassero la sicurezza.

Un fatto politico

In un Paese che ha la necessità impellente di controbilanciare con nuove terre i terreni agricoli strappati dall’invasione della Russia, quella di recuperare aree considerate off-limits è una possibilità allettante.

Tuttavia, la scarsa radioattività residua non risolve una questione che ha anche risvolti politici.

Come spiegato in un articolo sul New Scientist, dichiarare i terreni attorno a Chernobyl di nuovo coltivabili significherebbe privare chi li possedeva delle compensazioni riservate dal governo ucraino ai proprietari dei suoli contaminati, e il rischio è che la perdita di questi benefici in un momento storico così complesso per l’Ucraina possa sollevare malcontenti e proteste nell’opinione pubblica.

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