
In questo articolo ci interesseremo del ruolo della magia e del pensiero magico nel 1600.
Nel 1600 la scienza rivestì un ruolo di fondamentale importanza.
Il primo ad aver posto le premesse di quella che sarebbe diventata di lì a poco la grande avventura della scienza moderna è stato un filosofo ovvero Francesco Bacone.
In realtà nessuno prima e più di lui ha contribuito a dare alla scienza un metodo di studio induttivo che partisse dalla conoscenza e dall’analisi dei fatti.
Ci si potrebbe chiedere che ruolo abbia la magia nella dottrina di un filosofo che ha segnato una svolta nel sapere occidentale proprio per il suo rigoroso pragmatismo.
Eppure Bacone non ignora la magia.
Nella sua gerarchia dei saperi egli pone da un lato la Metafisica come ricerca delle forme e dall’altro la Fisica come ricerca della causa efficiente della materia.
A queste due scienze sono quindi subordinate la Meccanica (rapporto alla fisica) e la Magia (in rapporto alla Metafisica).
Purché ne venga purificato il nome Bacone vede infatti nella magia una conoscenza che prepara un maggior dominio sulla natura.
Del resto a ben guardare è la sua stessa concezione pragmatica della scienza a inviare ad uno degli aspetti fondamentali del sapere magico.
Come la magia la scienza in Bacone privilegia il sapere pratico rispetto al sapere meramente contemplativo.
Infatti Bacone è convinto che la superficie visibile del reale nasconda una verità profonda e che soltanto connettendosi a questa diventi possibile aumentare il potere dell’uomo sulla natura.
Tuttavia Bacone aldilà dell’inconsapevole legame da lui intrattenuto con alcuni essenziali aspetti della tradizione magica assunse delle posizioni negative riguardo la magia naturale.
Secondo il filosofo inglese la magia naturale conteneva nozioni superstiziose e osservazioni di simpatie cosmiche futili.
Per Bacone il mago è colui che va al di là dell’immaginazione e perde il senso delle proporzioni cosa che a Bacone appariva molto grave e pregiudizievole.
Poiché egli non vede nel mondo l’immagine vivente di Dio né pensa che la conoscenza della natura riveli qualcosa di Dio è convinto che la natura vada studiata “iuxa propria principia”.
Infatti il suo metodo conoscitivo non vuole servirsi dei riferimenti al divino e la mistica di matrice platonica e neo platonica tanto cari alla magia.
Partendo da queste basi Bacone qualifica Paracelso “fanatico accoppiatore di fantasmi”.
Ne si priva del piacere di ridicolizzare Agrippa definendolo “triviale buffone”.
Ai suoi occhi la vera scienza non deve far apparire le cose più meravigliose di quel che siano come fa la magia.
Non diversamente da Bacone anche gli altri grandi intellettuali del 600 cominciano a prendere le distanze da tutto quanto sa di mistero.
Tuttavia lo stesso Bacone accanito oppositore dei maghi parla di percezioni e desideri e avversioni della materia.
Addirittura Bacone ammette che la ricerca degli alchimisti mira allo stesso scopo a cui è diretto il suo metodo conoscitivo.
In ogni caso la tradizione magica ed il pensiero magico mantennero una certa forza anche nel 1600.
Forse potrà apparire cercare una testimonianza della forza della tradizione magica a cavallo tra 500 e 600 in un nome che non ha rapporti diretti con la scienza o la filosofia quelle di Shakespeare.
In Shakespeare si è visto di tutto e nel tutto è compresa anche la testimonianza di una concezione magica del reale.
Per fare un esempio concreto il (Il Mercante di Venezia) risente dell’influsso del “Dea armonia mundi“ di Francesco Giorni e di altri testi cabalistici.
In quest’opera Shakespeare sembrerebbe muoversi tra misteri della Sapienza -Torah e tra le personificazioni di essa.
Ne si può negare che streghe fate folletti e maghi siano presenti nell’opera di Shakespeare un’opera che può spesso apparire intrisa di spirito magico.
Tuttavia non è sempre semplice stabilire quale sia l’autentico significato di tale spirito magico.
Per fare un esempio nel “Sogno di una notte di mezz’estate” ambientato in un mondo notturno e rischiarato dalla luna dove le fate sono a servizio di un re e di una regina Shakespeare usa immagini esoteriche.
Inoltre una tenebrosa notte di stregoneria, magia cattiva autentica, necromanzia caratterizza poi il Macbeth.
Sempre nel 600 Niccolò Copernico il grande astronomo non teme di invocare l’autorità di Ermete Trismegisto.
A sua volta il medico inglese William Gilbert si richiama all’autorità di Ermete e Zoroastro.
Famosa è la dottrina di Gilbert del magnetismo terrestre.
Gilbert riconduce tale dottrina alla tesi dell’animazione universale.
A sua volta Keplero dimostra di conoscere molto bene il “Corpus Hermeticum” e non nasconde la convinzione di una segreta corrispondenza tra le strutture della geometria e quella dell’universo.
Del resto la sua teoria della musica e delle sfere celesti rinvia a una chiara matrice magico-pitagorica.
Non per questo si potrebbe annoverare Keplero tra i cultori dell’arte magica.
Tuttavia quello che si vuole dire è che alcune personalità alle quali più direttamente è riconducibile la svolta della cultura occidentale in senso scientifico razionalistico conservano a volte nella loro dottrina un eco di quella che si può definire ”Pensiero magico”.
Non mancano in questo secolo di forti contrasti e straordinarie commistioni figure di scienziati per i quali il pensiero magico è ben più che un semplice eco.
Un tipico esempio di queste figure di scienziati è l’inglese Robert Fludd.
Medico e filosofo il cui ermetismo suscitava la ferma condanna di Keplero Fludd un personaggio molto importante della medicina e della filosofia del 600.
Robert Fludd come medico era senz’altro in grado di curare molto bene sé stesso essendo morto quasi centenario.
Fludd adepto della tradizione ermetica citava quasi a memoria in ogni pagina i testi di Ermete Trismegisto nella tradizione di Marsilio Ficino.
Il medico inglese fondeva il racconto biblico della creazione con le pagine del “Corpus Hermeticum”.
Fludd univa la concezione delle sfere degli elementi con quella dei pianeti.
Il filosofo inglese dimostrava di avere pure una perfetta conoscenza della Cabala.
Perfettamente fedele allo schema rinascimentale del sapiente che compie operazioni di natura magico cabalistica Fludd è una figura molto interessante.
Egli conoscitore dell’opera di Cornelio Agrippa rappresenta nei confronti di Fludd e Campanella una sorte di magismo reazionario ancora legato allo spirito di Pico della Mirandola e di Marsilio Ficino.
Fludd si dimostra scarsamente sensibile al grande movimento innovativo che stava caratterizzando il suo secolo.
Certamente vi sono anche punti in comune tra il suo trinitarismo ermetico-cabalistico e la teologia magica di Campanella nonché il monismo di matrice neo platonica caratteristico di Giordano Bruno.
Ma Fludd si dimostra soprattutto vicino alla concezione magico esoterica dei Rosacroce di cui si professa discepolo.
Appare dunque evidente che nel 600 come in ogni altra epoca la scienza non ha percorso un itinerario perfettamente lineare e pienamente coerente.
Infatti i progressi scientifici non derivano mai da un astratto superamento del passato o delle sue teorie.
Non senza ragione uno studioso del calibro di Ernesto de Martino ha messo in evidenza che il pensiero magico non è affatto uscito di scena con l’avvento dell’età moderna.
Il pensiero magico ha continuato a esistere in qualche modo nella struttura delle nuove visioni del mondo che andavano affermandosi sullo sfondo di una ribollente modernità.
Un esempio particolarmente calzante di questo stato di cose è il pensiero di Leibniz.
Con questo filosofo ci andiamo avvicinando al “secolo dei Lumi”.
Proprio in Leibniz prende vita la più significativa commistione tra una raffinatissima cultura matematica, un potente sistema metafisico -teologico e una seria assunzione di elementi magico-sapienziali di provenienza lulliana.
Nel 600 troviamo quindi in alcuni filosofi e scienziati la presenza di elementi del pensiero magico.
Concludiamo tale articolo ricordando le parole di Karl Popper che ha affermato che: “anche nella scienza moderna rimane con forza la tendenza a spiegare il mondo visibile mediante un presupposto invisibile”.
Prof. Giovanni Pellegrino
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