
Alaska a rischio tsunami. Terremoti e tsunami non si possono prevedere, ma uno studio geologico rivela che al largo dell’Alaska vi sono condizioni simili a quelle che hanno portato allo tsunami del 2011 in Giappone.
Per la ricerca, pubblicata su Nature Geoscience, è stato messo in campo un nuovo approccio, importante perché strutture simili a quelle messe in luce nella regione americana possono esserci anche in altre parti del pianeta.
COME NASCE L’ONDA. Gli tsunami si formano quando placche della crosta terrestre scivolano al di sotto di altre placche in un processo chiamato subduzione. In alcuni casi le placche possono rimanere bloccate per decenni, o addirittura secoli, periodi durante i quali le tensioni crescono enormemente fin quando si ha un improvviso scivolamento e conseguentemente un terremoto.
Quando ciò succede, l’energia del sisma trasferisce un movimento sussultorio all’acqua sovrastante, che produce un’onda di superficie: quando l’onda arriva in prossimità della costa, origina il vero e proprio tsunami.
GIAPPONE E ALASKA. Il terremoto del Giappone avvenne lungo una zona di subduzione in continuo movimento, perciò non ci si aspettava uno tsunami così violento. Ma le analisi successive rivelarono che tra la zona di subduzione e la terraferma c’era un’altra importante frattura, quella che i geologi chiamano faglia (vedi figura qui sotto, che rispecchia le condizioni esistenti di fronte al Giappone e all’Alaska).

Lo studio in prossimità dell’Alaska ha messo in luce una situazione del tutto simile, e dunque un terremoto lungo la zona di subduzione può fare oscillare il triangolo di crosta tra il piano di subduzione stesso e la faglia più vicina alla terraferma e originare un violento tsunami.
NELLA STORIA. Le coste dell’Alaska e delle isole Aleutine vennero già colpite in passato da vari terremoti. Uno di questi, nel 1946, causò la morte di 160 persone; un altro si verificò nel 1964 con uno tsunami che fece 140 vittime. Gli autori della ricerca ritengono che situazioni geologiche simili a quelle presenti al largo del Giappone e dell’Alaska si ritrovano anche in altre parti del pianeta e che perciò varrebbe la pena analizzarle con cura per verificare quali siano i rischi potenziali.
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