
La padronanza esige solitudine: l’Amore consiste in due solitudini che si toccano. Ognuno a guardia della solitudine dell’altro.
«Sappiamo o non sappiamo, amici miei, cos’è il silenzio?
Questa vita che guarda nei due sensi ha segnato il volto dell’uomo dal di dentro.» (Rilke – Sonetti a orfeo)
Padronanza, creatività, amore e solitudine
“Ciascuno di noi deve trovare nel suo lavoro il nucleo centrale della propria vita e da lì riuscire a espandersi in ogni direzione il più possibile. E durante questo, nessun’altra persona dovrebbe guardarlo…nemmeno lui stesso.”
[…] Una delle più comuni lamentele che vengono portate nello studio dell’analista è quella della solitudine. Come se essere soli fosse o una punizione o un delitto. E abbiamo escogitato innumerevoli modi per evitare di essere soli, di stare in solitudine. […] Invece la padronanza esige solitudine. […] Come dice James Hillman:
“Quando in sentimenti di solitudine vengono considerati archetipici, diventano necessari; non sono più segno di peccato, di terrore, di male. L’incomprensibile autonomia del sentimento può essere accettata e la solitudine può essere liberata dall’identificazione con l’isolamento letterale.”
Senza solitudine, come avrebbe potuto, Schubert, scrivere i suoi 600 Lieder, per non parlare delle sinfonie, i trio, i quartetti, le sonate e le opere? Come avrebbe potuto, Edvard Munch, dipingere 1.100 quadri e realizzare 18.000 opere grafiche? Come avrebbe potuto Picasso creare quell’enorme numero di disegni, incisioni, sculture, libri, collages e dipinti che riempiono le pareti di così tante gallerie d’arte in così tanti paesi? Come avrebbe potuto Gustav Mahler comporre dieci sinfonie mentre era direttore a tempo pieno dell’Opera di Stato di Vienna? Come avrebbe potuto Rodin creare quell’ “esercito di opere” che riempivano gli atelier di Meudon e i giardini e le stanze dell’Hotel Biron?
Se vogliamo davvero padroneggiare un po’ la materia, dobbiamo passare delle ore, dei giorni, dei mesi, soli con essa. Questa non è una “incapacità schizoide a mettersi in relazione”, non è una patologia che dobbiamo analizzare, ma un momento raro e prezioso della nostra umanità, un momento in cui la nostra vita dell’anima tocca l’anima del mondo, e possiamo prendere parte, se siamo fortunati, alla “grande natura creatrice”.
[…] Non è che l’esperienza della solitudine escluda l’esperienza della comunità, di far parte del mondo. In molti casi può perfino rafforzare l’impegno comunitario e rendere più profondo il senso di appartenenza. Ma come prerequisito della maestria, la solitudine chiede il nostro rispetto.
E non è indispensabile che l’artista viva senza compagnia. Semplicemente, la solitudine deve far parte integrante della sua vita, e se qualcuno condivide quella vita, allora la solitudine di ciascuno deve essere rispettata. Scrive Rilke:
“Credo che sia questo il compito maggiore di un legame fra due persone: che ciascuno sia a guardia della solitudine dell’altro. Perché, se è nella natura dell’indifferenza e della folla non apprezzare la solitudine, l’amore e l’amicizia ci sono proprio allo scopo di offrire continuamente la possibilità di solitudine. E sono vere condivisioni soltanto quelle che interrompono periodicamente periodi di profondo isolamento…”»
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