La sfida della Commissione sulle emissioni si scontra con la potente lobby del trasporto

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Bruxelles ha assegnato ai Paesi gli obiettivi di taglio della Co2 e vorrebbe almeno ridurre al 75-80 per cento, entro il 2030, la dipendenza delle auto dal petrolio. Parte il lungo lavoro di mediazione tra le lamentele di tutti.

Otto mesi dopo la conferenza di Parigi sul clima, la Commissione di Bruxelles ha messo i piedi nel piatto, delineando una politica energetica che ha subito suscitato le ire degli ambientalisti e lo sgomento dei governi, Italia in testa. Per chi ha applaudito i risultati della conferenza (gli ambientalisti) e per chi se ne è gloriato (i governi) è venuto, insomma, il momento di fare i conti con promesse e impegni: tagliare le emissioni del 40 per cento (almeno) entro il 2030 non poteva essere indolore.

Il problema che si è trovata di fronte la Commissione era allargare i controlli sulle emissioni, al di là dei settori energivori già sottoposti all’ambiziosa architettura del mercato dei diritti sulle emissioni: il meccanismo per cui chi è più efficiente e risparmia Co2, può vendere il diritto ad emettere di cui ha potuto fare a meno. Anche se il successo del mercato dei diritti è molto limitato e contestato, è comunque servito a portare sotto controllo l’anidride carbonica emessa dall’industria della carta, dalle centrali elettriche, dai cementifici. Ora la Commissione intende intervenire sulle altre emissioni: trasporti, edilizia, agricoltura, trattamento rifiuti. Di fatto, il 60 per cento della Co2 europea è prodotto da questi settori, in cui è possibili ipotizzare cospicui risparmi in nome dell’efficienza: meno petrolio nei serbatoi delle auto, edifici meglio isolati, meno metano dai bovini e dal letame e meno anche dalle discariche e dagli inceneritori.

La parte più difficile era decidere il contributo di ogni singolo paese al raggiungimento dell’obiettivo di un taglio del 40 per cento. La Commissione lo ha fatto: l’Italia dovrà ridurre le sue emissioni del 33 per cento in meno di 15 anni. Per alcuni paesi – come la Bulgaria – c’è addirittura la possibilità di aumentarle, ma in generale i tagli sono severi: 37 per cento per la Francia, 38 per cento per la Germania, 40 per cento per la Svezia. Qui la Brexit incide pesantemente. Perché la Gran Bretagna si assumeva una quota cospicua delle riduzioni. Senza Londra, il conto si fa più salato per tutti: l’Italia dovrà ridurre le emissioni non del 33, ma di quasi il 35 per cento. Per chi ha foreste (come la Finlandia) o larghi spazi vuoti di campagna (come l’Irlanda) c’è la possibilità di compensare in parte i tagli con gli assorbimenti naturali di anidride carbonica che assicurano questi “succhiaCo2”. Ma per territori pesantemente urbanizzati come quello italiano non ci sono sconti.

Nello specifico, la Commissione affronta di petto, in dettaglio, il settore più delicato ed esposto alle lobby più potenti: il trasporto. Oggi, il 94 per cento delle auto europee viaggia con benzina e gasolio. Bruxelles vuole far decollare entro il 2030, le vie alternative del trasporto: l’auto elettrica, i biocarburanti, anche l’idrogeno. Tutti percorsi sui quali, a parole, l’industria automobilistica europea è impegnata, ma che per ora non è riuscita ad imboccare con decisione. Niente di paragonabile a quanto hanno fatto Toyota e Nissan in Giappone o Tesla e General Motors negli Usa. Bruxelles vorrebbe almeno ridurre al 75-80 per cento, entro il 2030, la dipendenza delle auto dal petrolio.

Troppo timidi, hanno immediatamente fatto sapere le organizzazioni ambientaliste, convinte che l’accordo di Parigi richieda più coraggio. Ma sono i governi ad esitare di fronte alla prospettiva di affrontare resistenze e interessi potenti. Oggi, del resto, il 2030 appare lontano. Lo stesso accordo di Parigi prevede tappe intermedie nel 2018 e nel 2023. Quella della Commissione, per ora, è comunque soltanto una proposta, che deve passare attraverso il Parlamento europeo, per un verso, i singoli governi, dall’altro. C’è tempo per limare, aggiustare, compensare. Ma, distribuendo le quote, la Commissione ha posto paletti che non sarà facile aggirare: se l’Italia riducesse le emissioni del 30, anziché del 35 per cento, qualcuno si dovrebbe far carico di quel 5 per cento. Altrimenti, niente 40 per cento in meno. Ecco perché tutti terranno gli occhi aperti.

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