
Direttiva europea rinnovabili e biomasse forestali sotto attacco. Il principio della neutralità della CO2 nella valorizzazione energetica delle biomasse in sostituzione delle fonti fossili, le emissioni nella conbustione domestica, le soluzioni tecnologiche e gestionali.
Un gruppo di organizzazioni non governative (Ong) e persone singole provenienti da sei paesi (Estonia, Francia, Irlanda, Romania, Slovacchia e Stati Uniti) hanno sottoscritto un appello contro l’inclusione della biomassa di origine forestale tra i combustibili considerati nella nuova Direttiva europea sulle energie rinnovabili.
L’appello è stato quindi depositato il 4 marzo scorso alla Corte di Giustizia del Tribunale europeo.
La direttiva europea Red II, com’è ampiamente noto, vincola tutti gli Stati membri della Ue a raggiungere entro il 2030 un obiettivo ambizioso, cioè di coprire con fonti rinnovabili almeno il 32% dell’energia generata.
I ricorrenti sostengono che la nuova direttiva stia causando una diffusa “devastazione delle foreste” e sia la principale causa dell’aumento delle emissioni di gas serra. Sostengono che le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte dalla combustione di legna e gli apparecchi e impianti a biomasse legnose emettono più CO2 per unità di energia generata rispetto alle centrali a carbone.
Inoltre ritengono che non si sia tenuto conto adeguatamente delle emissioni di carbonio derivanti dalla raccolta, produzione, trasporto e combustione delle biomasse legnose, compresa la perdita del potenziale sequestro di carbonio atmosferico dopo la “deforestazione”.
Infine sostengono anche che l’uso della biomassa forestale per finalità energetiche ha aumentato la pressione di raccolta sulle foreste in Europa e in America del Nord per soddisfare la crescente domanda nella Ue.
Rispetto alle critiche evidenziate da questo gruppo di oppositori tout court alla biomassa, cerchiamo di entrare nel merito con la necessaria sintesi.
Pur nel rispetto di tutte le opinioni, avvertiamo la necessità di sottolineare come sia così semplice formulare simili accuse travisando la realtà dei fatti fino ad arrivare ad aprire un contenzioso giudiziario basandosi su presupposti pretestuosi.
Pacchetto energia
L’accordo raggiunto nel giugno 2018 tra la Commissione europea, il Parlamento e il Consiglio sul pacchetto energia clima consolida la posizione dell’Europa come leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico per il prossimo decennio.
È necessario avere la consapevolezza che il raggiungimento dell’obiettivo del 32% al 2030 di energia da fonti rinnovabili è una sfida al contempo possibile ma impegnativa che impone una crescita decisamente sostenuta di tutte le fonti rinnovabili nei limiti dell’uso sostenibile delle risorse disponibili.
In questo quadro il contributo del settore delle biomasse solide è decisivo. Esso, oltre ad essere stato il principale e unico settore energetico per secoli, rappresenta oggi la principale fonte di energia rinnovabile prodotta in Europa (il 60% dell’energia rinnovabile).
In questo contesto non sorprendono i continui e ripetuti attacchi provenienti da più parti, soprattutto da contesti ancora molto potenti, più o meno palesemente prossimi al mondo dei combustibili fossili.
Il perseguimento degli obiettivi energetici europei impone un percorso condiviso e pragmatico che viene ora minacciato da un ultimo tentativo di paralizzare la legislazione ancor prima che sia implementata.
La nuova direttiva europea sulle rinnovabili (RedII) rappresenta una parte fondamentale di questo percorso ed è stata adottata dopo anni di approfondite consultazioni con le parti interessate, dibattiti pubblici e ricerche scientifiche, obiezioni e opinioni che sono state prese in considerazione durante questo lungo processo, necessario ed esaustivo.
Nella nuova direttiva sono stati introdotti, per la prima volta, criteri di sostenibilità in primo luogo ambientale, nonché economica e sociale per l’utilizzo della biomassa solida.
Criteri che condividiamo e riteniamo indispensabili per dare concretezza a un processo di decarbonizzazione dell’economia e che possano sicuramente essere ulteriormente migliorati nel corso del recepimento della normativa da parte degli Stati membri.
Analizzando nel dettaglio i contenuti dell’appello, dalle preoccupazioni emotivamente condivisibili, emergono gravi errori di valutazione, presupposti sbagliati, conclusioni pretestuose, e soprattutto una scarsa consapevolezza delle reali necessità non solo energetiche della nostra civiltà ma anche economico sociali, in termini di occupazione e salute pubblica.
Gli appellanti sostengono alcuni aspetti. Il primo che cercheremo di smentire in questa prima parte dell’articolo è: le foreste europee sono in pericolo a causa della richiesta di materia prima a fini energetici.
L’estensione delle foreste dell’Europa geografica ammonta a 215 milioni di ettari, pari al 33% della superficie totale. Le foreste dell’Unione Europea si estendono invece su 161 milioni di ettari (4% della superficie forestale mondiale), coprendo il 38% della superficie terrestre della Ue e i sei Stati membri con la maggiore copertura forestale (Svezia, Finlandia, Spagna, Francia, Germania e Polonia) rappresentano i due terzi delle superfici forestali europee (vedi tabella).
Inoltre, diversamente da numerose Regioni del mondo nelle quali la deforestazione (cambiamento di uso del suolo forestale in altro uso) e il degrado delle foreste (tagli illegali e non sostenibili delle foreste) continuano a essere un grave problema, la superficie delle foreste della Ue è in aumento: tra il 1990 e il 2015 è aumentata di circa 13 milioni di ettari con un tasso di incremento stabile, che sarà confermato anche nel prossimo rapporto europeo, in particolare grazie all’espansione naturale su superfici agricole e pascolive abbandonate e agli sforzi di rimboschimento del secolo scorso.
L’area forestale quindi è aumentata dal 1990 a livello europeo. Solo il 4% non è stato modificato dall’uomo. L’8% è costituito da piantagioni, mentre il resto appartiene alla categoria delle foreste “seminaturali”, vale a dire coltivate nel corso dei secoli.
Inoltre nella maggior parte dei casi le foreste europee appartengono a proprietari privati (circa il 60% in termini di superficie, rispetto al 40% di foreste di proprietà pubblica). Rispetto ad altre Regioni del mondo, solo il Sudamerica ha una percentuale più alta di copertura forestale (49%) rispetto all’Europa (Fra 2015).
Il 45% delle foreste europee è prevalentemente di conifere, il 36% è prevalentemente di latifoglie e il resto è misto. Circa l’80% è storicamente vocato alla fornitura di legna e legname e dei 161 milioni di ettari di foresta, 134 sono disponibili per la produzione che, a differenza di molte altre parti del mondo, devono rispettare rigide regole di tutela in applicazione a criteri internazionali di Gestione Forestale Sostenibile, adottati da tutti i paesi aderenti alla Mcpfe – Forest Europe.
Più di 110 milioni di ettari di foreste in Europa sono inoltre tutelate con normative specifiche e più restrittive al fine di garantire diversi altri servizi ecosistemici, oltre a quello della produzione: protezione del suolo contro l’erosione, regolazione e depurazione dell’acqua, conservazione della biodiversità e di habitat per numerose specie, servizi culturali; inoltre rappresentano una risorsa inestimabile nell’immagazzinamento del carbonio.
Dal punto di vista economico, come detto, la gestione delle foreste fornisce risorse quali legno e legname, ma anche prodotti non legnosi alimentari (bacche e funghi) e industriali (sughero, resine e oli), nonché servizi (caccia, turismo e ricreazione, ecc.).
Gli abbattimenti a fini produttivi rappresentano soltanto circa i due terzi dell’incremento del volume annuale di legname. La principale destinazione d’uso è energetica (42% del volume della biomassa europea, che rappresenta circa il 5% del consumo energetico totale della Ue), contro il 24% per le segherie, il 17% per l’industria della carta e il 12% per quella dei pannelli.
In generale, il 58% della biomassa di legno della Ue è trasformato dalle industrie forestali dell’Unione, che rappresentano oltre il 7% del Pil del settore manifatturiero nella Ue e impiegano quasi 3,5 milioni di addetti, oltre a contribuire al raggiungimento degli obiettivi della politica industriale della Ue.
Le foreste europee sono pertanto fonte di occupazione, in particolare nelle zone rurali; il settore forestale (silvicoltura, industria del legname e della carta) rappresenta circa l’1% del Pil totale della Ue, valore che in Finlandia può arrivare al 5% e dà lavoro a circa 2,6 milioni di persone.
La Strategia Forestale della Ue prevede peraltro un aumento progressivo dell’approccio “a cascata”, favorendo l’adozione di tecnologie e produzioni innovative nell’ambito della bioeconomia circolare, che consentiranno di incrementare il valore aggiunto delle trasformazioni e puntare soprattutto sui residui per l’utilizzo energetico.
La situazione dei boschi italiani non si discosta dal contesto europeo, anzi presenta dati ancora più significativi.
Il patrimonio forestale italiano è costituito da circa 11 milioni di ettari di cui 9 milioni di foreste e da quasi 2 milioni di altre terre boscate, in prevalenza arbusteti, boscaglie e macchia (Raf 2019). Nell’arco di 30 anni la foresta italiana è cresciuta di 2.307.013 ettari pari al 26,6%, processo d’incremento tuttora in corso (Infi-Infc 1985-2015), tanto che recenti proiezioni di dati di uso e copertura del suolo danno nel 2017 circa 12 milioni di ettari, come facilmente intuibile a causa del progressivo abbandono degli spazi rurali.
Complessivamente, le aree forestali coprono oltre il 35% del territorio nazionale e in alcune Regioni rappresentano la forma di copertura più importante, occupando circa il 50% o più della superficie regionale, come accade in Trentino-Alto Adige, Liguria, Toscana, Umbria e Sardegna.
Nonostante più di un terzo della superficie nazionale sia ricoperta da boschi e nell’ultimo secolo si sia assistito a un aumento della superficie e della provvigione legnosa, non si è avuto un incremento della gestione, delle utilizzazioni e degli investimenti produttivi.
I prelievi nazionali di legna e legname risultano inferiori al 35% dell’incremento annuo contro una media europea che supera il 60% e si attestano a valori di poco superiore ai 14 milioni di m3 annui, di cui il 66% ancora costituito da legna da ardere.
In questo momento si stima che nelle attività connesse alla filiera del legno in Italia (dalla produzione, alla trasformazione industriale in prodotti semilavorati e finiti, fino alla commercializzazione – mobili, impieghi strutturali, carta, cartone, pasta di cellulosa e legno per fini energetici), siano coinvolte circa 80mila imprese, per quasi 500mila unità lavorative.
La filiera produttiva nazionale è però dipendente dall’estero per l’approvvigionamento della materia prima e più di 2/3 del suo fabbisogno strutturale ed energetico è coperto dalle importazioni.
Importazioni che giungono da paesi nei quali il taglio del bosco è spesso caratterizzato dalla totale assenza di regole di tutela ambientale e sociale. È evidente l’insostenibilità ambientale di tale situazione e lo stesso profilo etico sotteso.
Il rapporto di valutazione globale sulle foreste della Fao, The Global Forest Resources Assessment 2015, confermato da Ipbes Global Assessment di questi giorni del 2019, ci informa che nel resto del mondo le foreste continuano a ridursi mentre aumenta la popolazione e il terreno forestale viene convertito in attività manifatturiere, estrattive, dagli allevamenti e dalle produzioni agricole intensive. A livello globale negli ultimi 25 anni il tasso di deforestazione globale netto si è ridotto di circa il 50%.
In America del Nord e in America Centrale la superficie forestale è rimasta abbastanza stabile, mentre in Cina e India (solo grazie alle piantagioni) e in Europa ha continuato ad espandersi, sebbene ad un tasso meno rapido rispetto al passato. Il dramma maggiore si affronta nel bacino del Congo in Africa, nel Sudest asiatico e in America Latina.
Tuttavia, secondo le statistiche internazionali, la principale causa alla deforestazione globale è sicuramente da ricercarsi in altre cause, legate in particolar modo al cambiamento degli usi del suolo e al modello economico lineare di produzione e consumo della nostra società. Non vi è necessità di altre considerazioni circa la pretestuosa critica.
Chi si è appellato contro l’inclusione della biomassa di origine forestale tra i combustibili considerati nella nuova Direttiva europea sulle energie rinnovabili mette anche in discussione il principio della neutralità della CO2 nella valorizzazione energetica delle biomasse in sostituzione delle fonti fossili.
L’assorbimento della CO2 della biomassa
Questa è una tesi decisamente ardua che sfida il processo di fotosintesi clorofilliana, attraverso la quale la foglia cattura il biossido di carbonio dell’atmosfera e lo organica nel carbonio dei componenti cellulari (cellulose e lignine) del legno.
Ad esempio una tonnellata di legna di faggio corrisponde al sequestro di 2,7 tonnellate di CO2. Mentre per la formazione del petrolio sono necessari tra i 5 e i 200 milioni di anni, il turno, cioè il tempo medio di rotazione dei prelievi forestali, varia in genere nell’arco delle decine di anni.
Se da un lato quindi usare combustibili fossili significa immettere in atmosfera in modo netto CO2, la loro sostituzione con biomasse legnose significa solo riemettere il biossido di carbonio già sottratto. Va quindi osservato che con il contributo della gestione forestale sostenibile il bosco, com’è stato fatto dall’uomo per secoli, è in grado di sequestrare la CO2 sottratta all’atmosfera e generare nuova biomassa con tempi molto più rapidi rispetto al consumo delle energie fossili.
È necessario non sottrarsi a una possibile criticità del sistema che, pur non riguardando le emissioni di CO2, è collegata alla valorizzazione energetica delle biomasse.
Com’è ampiamente noto e dimostrato, il processo di combustione di biomasse legnose produce polveri sottili e benzo(a)pirene, in quantità variabile a seconda della tecnologia di combustione dei generatori utilizzati, della qualità dei combustibili legnosi, della manutenzione ordinaria e straordinaria che periodicamente viene effettuata su apparecchi e/o impianti. In particolare, le vecchie stufe a legna o i caminetti a fiamma aperta presentano fattori di emissione significativi.
Su questo elemento negativo, presente in particolare nel settore del riscaldamento domestico, va però sottolineato il fatto che le aziende produttrici di apparecchi e caldaie hanno compiuto un grande sforzo nella ricerca e sviluppo di soluzioni tecnologiche sostenibili, per abbattere sostanzialmente le emissioni, aumentare l’efficienza degli apparecchi e migliorare quindi la qualità dell’aria, percorso per altro in continua positiva evoluzione.
Gli effetti di questa concreta inversione di tendenza sono dimostrati dai dati ufficiali prodotti dagli organismi pubblici territoriali cui è demandato il compito di monitorare la qualità dell’aria.
A titolo di esempio, in Italia, nel bacino padano costituito dalle regioni Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna particolarmente colpite dal tema delle emissioni di polveri derivanti dal traffico e dal riscaldamento, l’apporto della combustione domestica alla produzione di PM10 è in calo, soprattutto grazie al turnover tecnologico, cioè alla sostituzione dei vecchi apparecchi obsoleti con nuovi e performanti generatori a legna e pellet.
Lo confermano i dati pubblicati da Arpa Veneto (-20% negli ultimi sette anni) e quelli recentemente pubblicati da Arpa Lombardia che presenta un calo del 30% in cinque anni.
L’elemento chiave nel percorso di miglioramento intrapreso dalle aziende del settore è dato dalla possibilità di offrire un’oggettiva distinzione qualitativa dei sistemi di riscaldamento, per assicurare specifiche prestazioni in un’ottica di contenimento delle emissioni atmosferiche.
In Italia è possibile da parte dei consumatori scegliere l’apparecchio domestico a legna, pellet e cippato con le migliori prestazioni in termini di efficienza e riduzione delle emissioni; il decreto ministeriale 186 del 2017 ha introdotto per questi generatori una classificazione a stelle.
Nel sistema Aria Pulita organizzato da Aiel sono più di 2.600 i modelli certificati e classificati secondo questi criteri qualitativi.
Intensificando quindi il processo di “rottamazione” delle vecchie stufe a legna con moderni apparecchi domestici a quattro-cinque stelle sarà possibile ridurre anche del 70% le emissioni di polveri sottili nell’arco dei prossimi dieci anni.
Emissioni complete
Le emissioni di carbonio derivanti dal ciclo di raccolta, produzione, trasporto e combustione della biomassa è uno dei temi più approfonditi e considerati da parte dell’Unione europea nella determinazione delle strategie e politiche non solo energetiche ma anche di sviluppo locale e gestione del patrimonio forestale.
Un uso sostenibile della biomassa solida e gassosa per il riscaldamento, il raffreddamento e la produzione di energia elettrica è per l’Europa un presupposto imprescindibile che trova attuazione in un uso locale e pianificato degli approvvigionamenti.
Nel settembre 2013 la Commissione ha adottato la nuova strategia forestale della Ue (COM(2013)0659), che propone un quadro europeo di riferimento per l’elaborazione delle politiche settoriali aventi un impatto sulle foreste. I principi guida di questa strategia sono la gestione sostenibile delle foreste e la promozione del loro ruolo multifunzionale, l’utilizzo efficace delle risorse e la responsabilità dell’Unione nei confronti delle foreste a livello mondiale.
Ed è proprio in questo contesto che la strategia affronta gli aspetti della “catena di valore” (ossia l’utilizzo delle risorse forestali ai fini della produzione di beni e servizi), che incidono in misura determinante sulla gestione delle foreste e sull’utilizzo efficace e sostenibile dei suoi prodotti.
Migliorare la competitività e la sostenibilità delle industrie forestali dell’UE, della bioenergia e dell’economia verde in generale è un obiettivo prioritario poiché il legno europeo, materia prima naturale, rinnovabile, riutilizzabile e riciclabile, proviene da foreste gestite in maniera sostenibile ed è trattato e usato in modo tale da ridurre al massimo gli effetti negativi sul clima e sull’ambiente fornendo al contempo mezzi di sussistenza e svolgendo un ruolo importante nella bioeconomia della Ue.
Tuttavia la futura competitività del settore richiederà processi e prodotti efficienti nell’impiego di risorse ed energia e dal basso impatto ecologico.
La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri e i portatori d’interesse, promuove un uso più diffuso del legno come materia prima sostenibile, rinnovabile e che rispetti clima e ambiente senza danneggiare le foreste e i relativi servizi ecosistemici, i cui benefici per il clima, derivanti dalla sostituzione di materie e fonti energetiche con la biomassa forestale e i prodotti a base di legno in particolare in ambito locale, offrono l’opportunità di mantenere o creare posti di lavoro e diversificare le entrate in un’economia verde a basso consumo di carbonio.
Come già precisato nelle premesse, attualmente la biomassa forestale rimane la principale fonte di energia green nella Ue. È possibile stimare che gli attuali indici di prelievo forestale potranno soddisfare gli obiettivi europei di energia rinnovabile al 2030 previsti per la biomassa richiesta per il riscaldamento e la generazione elettrica.
Questo risultato sarà realizzabile grazie al continuo miglioramento tecnologico che rende sempre più efficiente la valorizzazione energetica delle biomasse forestali. Una parte significativa dei modelli di moderne caldaie a cippato per la produzione di calore superano il 90% di rendimento e già si affacciano sul mercato caldaie a condensazione a pellet con rendimenti ancora maggiori.
Dal punto di vista quantitativo, il livello di utilizzazione delle foreste italiane è uno dei più bassi della Ue, con un ammontare dei prelievi annui pari alla metà di quello di Francia, Spagna e Portogallo (4 m3/ettaro/anno) e notevolmente inferiore rispetto a Germania e Gran Bretagna (5,6 e 5,4 m3 /ettaro/annui).
Soltanto le piantagioni di pioppi della Pianura Padana rappresentano un’eccezione, con un tasso di produttività superiore ai 20 m3/anno/ettaro.
Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui non si sarebbe tenuta in debita considerazione “la perdita di potenziale di sequestro del carbonio dopo la deforestazione” si può aggiungere che popolamenti giovani sequestrano molto carbonio e più rapidamente, come già discusso confrontando i tempi di ritorno e stoccaggio del carbonio nel confronto tra combustibili fossili e biomasse.
È assodato e riconosciuto a livello globale che le formazioni forestali svolgono un’indubbia azione nell’immagazzinamento del carbonio, che è fissato nei tessuti vegetali di alberi e arbusti, nei residui organici e nel progressivo accumulo nel suolo, riducendo così la quantità di gas ad effetto serra presente nell’atmosfera.
Alquanto ipocrita è però il volere attribuire alle foreste, la soluzione per la riduzione dei gas climalteranti e non voler comprendere che la principale causa di queste emissioni sia frutto di processi energetici inefficienti e in larga parte affidati ai combustibili fossili nelle attività industriali, agricole, di trasformazione, del trasporto, del consumo energetico domestico.
Le foreste svolgono un ruolo inestimabile in termini di compensazione delle emissioni, attraverso il processo fotosintetico, ma non potranno essere e non saranno mai la soluzione se contestualmente non si darà concretamente avvio a un serio percorso di riduzione delle emissioni. Oggi il carbonio organico accumulato nelle foreste italiane è pari a 1,24 miliardi di tonnellate, corrispondenti a 4,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.
Ogni anno, per effetto dell’accrescimento le foreste italiane riescono a sottrarre dall’atmosfera circa 46,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari al 10% delle emissioni antropogeniche generate, che si traducono in 12,6 milioni di tonnellate di carbonio accumulato.
Le foreste svolgono una molteplicità di funzioni e producono beni e servizi che l’uomo da sempre utilizza, direttamente o indirettamente, a proprio vantaggio, primo fra tutti il legno a fini energetici.
Da alcuni anni è in atto una “riscoperta del legno”, sia come materiale costruttivo sia come fonte di energia, in particolare grazie alla quasi completa neutralità dal punto di vista delle emissioni di carbonio in atmosfera e alla fluttuazione dei prezzi dei combustibili fossili.
Il ruolo dell’energia derivante dalle biomasse e in particolare, da quelle legnose nel soddisfacimento della domanda complessiva di energia è ampiamente discusso dal punto di vista economico e politico a livello internazionale. Nell’ambito di questo confronto sono note e altrettanto evidenti le ricadute sociali e ambientali legate alla valorizzazione di queste risorse naturali e rinnovabili.
L’elemento chiave e irrinunciabile su questo tema è la gestione forestale sostenibile e responsabile che si traduce nel rispetto delle regole e dei principi della pianificazione forestale, dei criteri e degli indici di prelievo, delle funzioni fondamentali che il sistema boschivo svolge, della conservazione e perpetuazione della copertura boschiva, dei diritti e della sicurezza degli operatori.
In questo modo la riduzione delle emissioni in atmosfera di carbonio di origine fossile si potrà coniugare con il mantenimento della multifunzionalità propria degli ecosistemi forestali.
L’articolo è stato pubblicato sul n.3/2019 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Legno problematico”.
Lascia un commento