
Nel quartier generale dell’impresa fondata da Bill Gates che Satya Nadella, amministratore delegato dal febbraio 2014, sta traghettando verso una nuova era.
”Niente inizia tardi al mattino qui intorno”, sbuffa Jeff, che si occupa della logistica durante l’Imagine Cup, competizione tecnologica per studenti organizzata da Microsoft. È la prima cosa che s’impara appena arrivati a Seattle. Sveglia all’alba, alle sette già on the road, e poi su per le colline verdeggianti di Redmond, prima che il traffico inizi a ingolfare le strade, rendendo impossibile la vita di città. Ammantato dagli alberi, il quartier generale del cybergigante messo in piedi da Bill Gates: più un corollario dell’università che l’ingessata sede di un’impresa. Catherine Cormoreche-Meljac, francese trapiantata negli Usa, responsabile delle comunicazioni di Microsoft, spiega: “Bill l’ha immaginato simile a un campus”.
Sobrio, accogliente, funzionale. Dall’alto sembra una gigantesca astronave terrena di 740mila metri quadrati. Restringendo la prospettiva, ci si trova tra oltre cento palazzi in ferro, cemento e vetro, dove il bello è sinonimo di utile. Come le teche disseminate negli spazi interni che incubano insalata:coltivazione idroponica, destinata alle mense degli impiegati. Un’eccezione alla logica dell’efficienza sono gli affusolati viottoli intorno agli edifici, affiancati da aceri e querce, con foglie color verde bottiglia d’estate e rosso rubino in autunno, che d’improvviso si aprono su giardini nascosti dai suoni ovattati. ”Questa è l’idea originaria: tanto verde, tanti sentieri; un ambiente tranquillo in cui programmare in pace”.
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“In passato dicevamo: non scrivere il programma in quel linguaggio, il nostro è migliore, devi cambiare. Era il modo di fare evangelismo, tutti noi l’abbiam fatto”, racconta Tim O’Brien, capo delle comunicazione globale. “Ora, invece, il paradigma è: quel programma, scritto nel linguaggio che stai usando, lo supportiamo sulla nostra piattaforma. Vieni e porta le tue competenze”. Un cambio d’approccio che racchiude in sé le ragioni dell’apertura al mondo open source, l’attenzione al mobile, e la strategia della nuvola azzurra che, secondo gli ultimi dati, sembra pagare. Tutto è cominciato all’interno. “Prima eravamo divisi in compartimenti stagni, ogni settore aveva i propri goal, che non condivideva con gli altri. Poi collaborazione, apertura e trasparenza, sono diventate necessarie e implicite. Il modello One Microsoft, che spinge verso l’integrazione tra le varie parti dell’azienda, istituito da Steve Ballmer, è stato accelerato da Satya Nadella (alla guida dal febbraio 2014, ndr)”. Gli open space che pian piano rimpiazzano i vecchi uffici, anonimi cubicoli di uguale misura per chiunque, stanno facendo il resto.
Anne Legato, sorriso abbacinante e fisico perfetto, riassume la trasformazione in poche parole: “Le persone sono più gentili”. Gli anni dei microservi tratteggiati dallo scrittore Douglas Adams, ossessionati dal lavoro e con un occhio sempre puntato all’andamento delle quotazioni in borsa, sono ormai lontani; al pari dei musi lunghi, delle porte chiuse in faccia, delle sedie scaraventate attraverso le vetrate e delle battute dettate da un pruriginoso settarismo maschile. “Quando la compagnia era molto giovane, in molti dormivano sul pavimento, e lavoravano giorno e notte. Erano soprattutto uomini. Adesso ci sono sempre più donne, non andare a casa a riposare è un’eccezione, i dipendenti sono invecchiati, le priorità sono diverse: è bello che i vertici l’abbiano capito e, per esempio, abbiano creato sia una stanza per le mamme che una per la meditazione, ma ci sono anche dei programmi per attrarre i più giovani”.
Basta guardare al ”Garage”, una sorta di laboratorio che con l’ironico motto di “fate della merda epica”, permette agli impiegati di dedicare delle ore a progetti che non sono legati alla loro attività all’interno di Microsoft. “L’obiettivo è evolvere il modo in cui lavoriamo. Qui l’innovazione deve avvenire ovunque”, fanno sapere. Un modo per conservare l’anima da startup. Del resto, il nuovo motto introdotto da Nadella nel 2015 e stampato dietro i cartellini aziendali recita: “La nostra missione è consentire a ogni persona e a ogni organizzazione sul Pianeta di ottenere di più”. Ci credono davvero.
“Essere for profit e avere un impatto positivo sul mondo non sono due cose che si escludono a vicenda, possono coesistere”, ne è convinto Diego Rejtman, argentino, che da sei anni lavora all’Xbox. Al nostro appuntamento è arrivato con in mano le foto del suo muro d’ufficio. “Sono una persona super curiosa, mi piace imparare e sulle pareti ho collezionato tutte le cose che ho appreso negli ultimi quattordici anni”. L’ultima? Nel 1987 l’America Airlines ha risparmiato 40mila dollari togliendo un’oliva da ogni insalata dei passeggeri di prima classe. “Pensa: basta pochissimo per fare la differenza. A mio avviso, Microsoft dovrebbe rischiare ciò che è per ciò che potrebbe diventare”.
Inutile chiedergli però quale sarà il prossimo big thing: intelligenza artificiale,HoloLens, droni? Rejtman prende in mano una penna e disegna una linea che d’un tratto s’impenna verso l’alto. “Noi in questo momento siamo qui, questo sta per accadere”, dice, indicando il punto che precede la vertiginosa salita. “La tecnologia cresce esponenzialmente, non possiamo prevedere il futuro. Ma, onestamente, credo che le cose diventeranno davvero pazzesche”. Un assaggio è a pochi passi, nella Microsoft Home, la casa del domani: porte che si aprono con il palmo della mano, muri che cambiano colore in base al nostro umore, tavoli interattivi su cui mangiare, cucinare, giocare. E se ci sembra poco, basterà aspettare: il resto lo scopriremo presto. @rositarijtano
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