
Solo una civiltà evoluta come la nostra avrebbe potuto dar vita ai social network. Queste piattaforme, sorte all’alba del XXI secolo, hanno l’intento di soddisfare una delle esigenze primordiali dell’uomo: creare relazioni fra persone.
I primi social sono riusciti in questa missione: lo statunitense Friendster si presentava come un’autentica finestra per farsi conoscere, mentre My Space permetteva di trovare persone con interessi comuni, grazie alle sezioni blog, musica e video. Poi, nel 2004 (2008 in Italia) Facebook monopolizza il panorama delle reti sociali, mutando nel tempo sia la struttura e le funzionalità, sia il target di riferimento.
Instagram, molto popolare in questi anni, completa il quadro, diventando espressione di un modo diverso di vedere le cose e le persone attorno a noi. Il social ora di proprietà di Mark Zuckerberg si è distinto fin da subito per la creatività delle fotografie e gli scatti artistici, ma ben presto ha cambiato la sua essenza, sminuendosi a vetrina fatta di selfie con filtri, meme con gag ironiche e altri contenuti lontani dall’intento iniziale.
L’apparenza è il concetto che sta alla base di Instagram: mostrare e mostrarsi sempre, a tutti i costi, per sentirsi apprezzati in base al numero di like che si ricevono. Tanti contenuti, pochissimi di spessore, che scorrono velocemente in un triste carosello in cui nessuno si ferma davvero a guardare. Overdosi continue di immagini ci hanno abituato a un mondo esclusivamente visivo, in cui solo l’aspetto esteriore ha importanza e la pazienza richiesta nella scoperta di un lato più profondo si è ridimensionata.
Ma Instagram è diventato anche teatro in cui i cosiddetti “leoni da tastiera” sono i veri protagonisti; sempre pronti a giudicare da una fotografia, a criticare persone che non si conoscono, a mostrarsi burattini di una società in cui l’offesa fa ridere, il consenso legittima ogni parola ed essere controcorrente fa paura. È così che Instagram ha rovinato la purezza innocua dei social, creando barriere tra le persone, anziché metterle in relazione; è un potenziale pericoloso di questo spazio sociale che, mascherato da aspetto inevitabile di un social di questo secolo e giustificato dalle necessità indeprecabili di un nuovo periodo storico, si cela dietro un velo di leggerezza e futilità.
Tuttavia, la colpa non è di Instagram, ma dei suoi utenti: la sua modalità di utilizzo ne determina la natura. E pensare che basterebbe poco per farne un uso cosciente, motivati dall’auspicio a ritrovare nel mondo una sintonia che è sempre più flebile, prendendo le distanze da quell’odore di individualismo cinico che si respira oggi, oltre che sul Web, per le strade.
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