Sostanze dopanti e rischio di morti improvvise

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Bodybuilding, studio internazionale lancia l’allarme sull’aumento del rischio di morte improvvisa. Pubblicata un’indagine su oltre 20.000 atleti che lancia l’allarme su allenamenti estremi, diete e uso di anabolizzanti per scolpire i muscoli

Un nuovo studio condotto da un team internazionale coordinato dall’Università di Padova rivela dati preoccupanti sulla salute dei bodybuilder maschi, in particolare tra i professionisti. La ricerca, pubblicata sull’European Heart Journal – rivista scientifica di riferimento della Società Europea di Cardiologia e una delle più autorevoli riviste scientifiche del settore – ha analizzato oltre 20.000 atleti che hanno gareggiato in eventi IFBB (Federazione Internazionale di Bodybuilding & Fitness) tra il 2005 e il 2020, con un follow-up medio di oltre otto anni.

«Negli ultimi anni si è assistito a un numero crescente di segnalazioni di morti premature tra praticanti di bodybuilding e fitness influencers. Questi tragici eventi, che spesso colpiscono atleti giovani e apparentemente sani, evidenziano una lacuna nella nostra comprensione dei rischi per la salute a lungo termine associati al bodybuilding competitivo. Il nostro è il primo studio a riportare l’incidenza della morte e della morte cardiaca improvvisa in questa disciplina sportiva». dice il dott. Marco Vecchiato, del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e primo autore dello studio.

«Sono stati identificati 121 decessi di cui il 38% imputabili a morte cardiaca improvvisa, associata in alcuni atleti ad alterazioni strutturali del cuore e, in diversi casi, all’uso di sostanze dopanti – spiega il prof Andrea Ermolao, del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e corresponding author dello studio -. Il dato più rilevante è l’elevato rischio di morte cardiaca improvvisa nei bodybuilder professionisti, che risulta oltre 5 volte superiore rispetto agli atleti dilettanti.»

«I risultati di questo studio non intendono lanciare un giudizio sul bodybuilding – spiega il dott. Vecchiato – ma pongono una questione di salute pubblica e di prevenzione in una disciplina in cui si fondono idealizzazione del corpo, competizione estrema e pratiche potenzialmente dannose. La nostra analisi fornisce una base scientifica solida per avviare riflessioni e interventi concreti.»

Lo studio è frutto di una collaborazione internazionale tra ricercatori italiani, statunitensi ed austriaci. La ricerca ha indagato in modo sistematico notizie di decessi riguardanti un campione esteso di bodybuilders internazionali fino al luglio 2023 in cinque lingue diverse attraverso diverse fonti web, tra cui media ufficiali, social media, forum e blog dedicati. Tutti i decessi segnalati sono stati poi incrociati utilizzando più fonti e questi rapporti sono stati verificati e analizzati per stabilire, per quanto possibile, la causa del decesso.

Nei pochi referti autoptici disponibili, i risultati includevano l’ispessimento o l’ingrossamento del cuore e, in alcuni casi, una malattia coronarica. Le analisi tossicologiche e i rapporti disponibili pubblicamente hanno rivelato l’abuso di sostanze dopanti in diversi atleti.

Il bodybuilding competitivo si distingue per un insieme di pratiche che possono comportare stress psicofisico rilevante: allenamenti ad alta intensità, regimi alimentari estremi con grandi oscillazioni di peso tra periodi lontani e in prossimità delle gare, tecniche di disidratazione e, in alcuni contesti, uso di sostanze dopanti.

Secondo gli autori, è proprio la combinazione di questi fattori a contribuire alla maggiore incidenza di eventi fatali, anche in soggetti giovani e apparentemente sani. Infatti, questi approcci possono mettere a dura prova il sistema cardiovascolare, aumentare il rischio di aritmie pericolose e portare a cambiamenti strutturali del cuore nel corso del tempo.

Lo studio evidenzia che, se la ricerca dell’eccellenza fisica da un lato è ammirevole, il perseguimento di una trasformazione estrema del corpo ad ogni costo può però comportare rischi significativi per la salute, in particolare per il cuore. La consapevolezza di questi rischi dovrebbe incoraggiare pratiche di allenamento più sicure, controlli medici regolari e un approccio culturale diverso che rifiuti fermamente l’uso di sostanze dopanti.

I risultati trovati sottolineano l’urgenza di introdurre screening cardiovascolari proattivi anche nei giovani atleti e di rafforzare la collaborazione tra la comunità medica, le specifiche federazioni sportive e le istituzioni per garantire una partecipazione più sicura al bodybuilding.

È necessario infatti un cambiamento culturale, con misure antidoping più efficaci, campagne educative sui rischi dell’abuso di sostanze e l’implementazione di programmi di sorveglianza sanitaria.

«L’idea che un corpo scolpito equivalga automaticamente a uno stato di salute ottimale – aggiunge Vecchiato – merita di essere messa in discussione. I nostri dati mostrano che l’aspetto esteriore può nascondere vulnerabilità profonde, in particolare quando viene esasperato da pressioni competitive e obiettivi fisici estremi. Infatti, è necessario considerare anche l’impatto psicologico legato a questa disciplina. Alcuni decessi classificati come “morti traumatiche improvvise” – come incidenti stradali, omicidi, suicidi o overdose – potrebbero ascriversi a problemi di salute mentale a volte peggiorati con l’abuso di sostanze in grado di aumentare il rischio di comportamenti impulsivi o autodistruttivi Questo quadro complesso rafforza la necessità di un’attenzione più ampia e integrata verso la salute degli atleti, che includa anche l’aspetto psicologico.»

Resta chiaro che questo lavoro non vuole essere un’accusa nei confronti dell’allenamento della forza o della cultura del fitness, che anzi possono offrire importanti benefici in termini di salute, benessere e longevità. Il messaggio è di responsabilità e consapevolezza, a tutela di chi pratica questa disciplina con passione e dedizione.

Lo studio si è concentrato sui bodybuilder maschi per la maggiore disponibilità di dati, ma il team di ricerca sta già lavorando a un’analisi parallela dedicata alle atlete e ad un approfondimento per valutare come le pratiche e i rischi associati a questa disciplina si siano evoluti nel tempo.

Fonte: Università di Padova – Articolo scientifico (open access) – (La redazione non è responsabile del testo di questo comunicato stampa, che è stato pubblicato integralmente e senza variazioni)

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