Ripresa economica post pandemica e debito pubblico

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Festival Economia, lo storico Tedoldi: “Debito pubblico come un secolo fa, siamo tornati ai livelli del Dopoguerra”. Il docente ospite della manifestazione a Trento: “Il livello attuale del 160% raggiunto solo nel 1920 a causa delle conseguenze della Prima Guerra Mondiale. Allora la soluzione fu un intervento anglo-americano, oggi la cancellazione non è una via praticabile. Solo due strade possibili: aumentare la crescita o ridurre il disavanzo”.

Per ritrovare un debito al 160 per cento del Pil, come è adesso, esploso a causa della pandemia e dello sforzo del governo di sostenere lavoratori e imprese, bisogna ritornare indietro di un secolo, all’indomani della Prima Guerra Mondiale. A raccontarlo, al Festival dell’Economia di Trento, sarà Leonida Tedoldi, autore, insieme ad Alessandro Volpi, della “Storia del debito pubblico in Italia. Dall’Unità a oggi”, appena pubblicato da Laterza. Dopo il 1920 non si è mai più arrivati a un picco del genere, anche se negli anni ’90 del secolo scorso il debito pubblico ha ripreso la sua corsa, raggiungendo nel giro di dieci anni il 120 per cento.

Allora la guerra, oggi la pandemia, due situazioni straordinarie. Però oggi non è possibile venirne fuori come un secolo fa.

“Nel 1922 il debito si era già abbassato al 140%, e poi scese al 50% per via della riduzione dei debiti di guerra, voluta soprattutto da Gran Bretagna e Stati Uniti che volevano ridimensionare le “crudezze francesi”. Ne siamo venuti fuori grazie a un’operazione diplomatica, nel giro di 4 anni”.

E dopo siamo rimasti a lungo sotto il 100%.

Festival Economia, lo storico Tedoldi: "Debito pubblico come un secolo fa, siamo tornati ai livelli del Dopoguerra"“Per ritrovare una crescita così sostenuta del debito pubblico dobbiamo venire a tempi più recenti. L’altro picco, più o meno sopra il 110%, si è toccato nel ’92-94. A partire dagli anni Ottanta c’era stata la “cultura del debito”, che è esploso in pochissimo tempo, in poco meno di dieci anni è cresciuto in maniera esponenziale, creando quello che viene considerato anche ora “lo zoccolo duro del debito”, fino al picco del ’94 che tocca il 120%. Amato, in contesto complicato, riesce a far partire qualche tentativo di privatizzazione, però gli interessi sul debito salgono anche perché nel frattempo arriva l’unificazione tedesca e quindi sul mercato dei titoli la Germania fa alzare i tassi d’interesse sul debito per sostenere le proprie spese, e l’Italia si trova a rincorrerla”.

Da allora non ci siamo più ripresi…

“Chiaramente poi se avessimo sfruttato la scia di Maastricht i tassi si sarebbero abbassati, se si fosse gestita meglio la politica di aggancio europeo, però certo gli anni Ottanta erano stati devastanti. Il debito era tutto sulla spesa corrente, le famiglie continuavano ad acquistare titoli a mani basse, si pensava che utilizzato in questo modo, il debito potesse essere uno strumento di crescita, e che la sovranità italiana garantisse un controllo anche della moneta. C’era l’illusione che il debito permettesse una crescita illimitata attraverso la spesa corrente, non attraverso gli investimenti. Il debito si finanziava attraverso i Bot venduti alle famiglie, i tassi di interesse crescevano per renderli più appetibili e in questo modo il debito ha continuato ad autoalimentarsi. Guido Carli è arrivato a scrivere che era un fattore di democrazia”.

Anche oggi in realtà questa illusione permane, si parla di “debito buono” contrapponendolo a quello “cattivo”, si teme moltissimo il ritorno al patto di Stabilità, ieri proprio qui a Trento il commissario Gentiloni ha ribadito che le regole Ue andranno riviste.

“Fino al 1981, quando c’è stato il cosiddetto divorzio con il Tesoro, la Banca d’Italia forniva un servizio molto importante perché comprava titoli invenduti e quindi monetizzava il debito, mantenendo bassi i tassi. Dopo c’è stata l’esplosione del debito, ed è vero, noi continuiamo a crogiolarci in questa illusione del debito buono e di quello cattivo, pensando che poi a pagare siano gli altri, i nipoti, o i nipoti dei nipoti. Io sono preoccupato da questo debito nuovo, per centinaia di miliardi”.

Quindi secondo lei è un errore, anche considerando la situazione eccezionale, far crescere il debito in questo modo?

“Io dico semplicemente che bisogna essere chiari su quello che si sta facendo. Il Pnrr è diviso in una arte debito e una parte a fondo perduto. La parte più rilevante è il debito con basso interesse, ma è debito. Comunque la si prenda avere il 160 per cento è una cifra molto alta. Bisogna vedere come sarà la crescita: se noi cresceremo a partire da quest’anno del 4, 5, 6 per cento allora potremo anche sostenerlo, se ritornerà la crescita allo 0,24, 0,25%, è tutta un’altra storia. Anche il Giappone ha un debito altissimo, superiore al nostro, ma cresce ogni anno di almeno il 2 per cento”.

Qualcuno ha provato a proporre di cancellare una parte del debito…

“Per ridurre il debito le strade sono due, ridurre il disavanzo o altrimenti serve la crescita, a meno che non si dia credito alle proposte fatte da Sassoli di cancellazione del debito, ma non non credo che questa sia una strada praticabile. Non è che ci siano molte ricette alla fine”.

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