La Francia nel Cinquecento

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Cercheremo ora di esporre le principali vicende storiche riguardanti la Francia nel 1500.

Gli storici dicono che la Francia nel XVI secolo era una nazione inattaccabile da parte di quanti le erano ostili pur trovandosi al centro di una situazione che se giudicata di per sé stessa appariva decisamente difficile.

Tuttavia il Re di Francia riusciva a mantenere un potere quanto mai esteso sul territorio da lui governato.

Infatti l’assolutismo reale contro tutto e tutti era magistralmente sostenuto da un lato dai consiglieri che lo circondavano e dall’altro dalla Chiesa.

Non solo ma tale assolutismo si fondava anche su una specie di lealismo a oltranza che scaturito dalle sanguinose vicende della guerra dei Cento Anni era stato poi rafforzato da quello che si potrebbe definire un sentimento nazionale quanto mai profondo.

Gli Stati Generali assemblea che rappresentava il clero la nobiltà e la borghesia francese non venivano più consultati dal Re quando doveva prendere decisioni importanti.

Di conseguenza egli era in grado di imporre senza problemi la propria volontà al parlamento.

Uno sguardo all’Europa che questo periodo storico ci fa capire quanto la Francia dovesse essere considerata lo stato più prospero dell’Europa, dal momento che poggiava su un concetto di unità, che traeva forza ed origine da un solo sovrano, una sola legge e una sola sede.

Ugualmente brillante poteva essere considerata la situazione economica grazie a un sistema di tasse e imposte che assicuravano alle casse dello stato un flusso costante di entrate e di conseguenza una prosperità che si basava su ampie risorse.

Inoltre l’esercito poteva contare nelle sue fila su uomini che vantavano tradizioni militari molto importanti alle quali si affiancava una potenza militare senza rivali.

La Francia del primo Cinquecento era senz’altro il più forte stato europeo e la sua monarchia la più prestigiosa. Per quanto concerne la politica estera due grandi sovrani, quali Luigi XII e Francesco si impegnarono a fondo nel tentativo di riconquistare l’Italia

A tale scopo non esitarono a impegnarsi per ben mezzo secolo in lotte e in guerre che li videro opposti ai principi italiani oltre che al Papa all’imperatore Carlo V e al suo alleato inglese Enrico VIII.

Dal 1494 al 1547 anno in cui Enrico II succedette a Francesco I sono dieci le guerre che la Francia combatté spinta dalla sua smania di supremazia e di conquista.

L’eco di memorabili vittorie quali Fornovo Agnadello o di pesanti sconfitte come quella di Pavia scandì il passaggio delle armate francesi lanciate a spianare la strada al Re.

Carlo VIII cavalcò trionfalmente fino a Napoli mentre Luigi XII prima e Francesco I poi si impadronirono del ducato di Milano.

Tuttavia i francesi non conobbero solo il piacere della conquista poiché per bel quattro volte il loro territorio venne invaso da eserciti nemici.

Ma neppure le invasioni con il seguito di lutti e sangue che si trascinarono dietro riuscirono a scuotere il prestigio del sovrano cosicché alla morte di Francesco I il regno era più che mai forte più di quanto si possa pensare.

Sotto il profilo economico la prima metà del Cinquecento segnò per la Francia un periodo di grande prosperità tanto che le campagne smisero di essere terre desolate incolte per trasformarsi in campi fertili o in foreste.

Nei villaggi si sviluppò il commercio affidato a bottegai e artigiani.

Inoltre banchieri e abili commercianti venuti dall’Italia scelsero Lione come sede delle loro operazioni finanziarie mentre un inatteso afflusso di oro, proveniente dalle lontane terre americane, fece in modo che la vita quotidiana subisse un notevole mutamento causando quella che si potrebbe definire la prima inflazione dell’età moderna.

Infatti il costo della vita aumentò e il denaro perse parte del proprio potere d’acquisto.

Ma anche nel campo delle relazioni commerciali con l’estero si ebbe un mutamento importante Francesco I inviò un proprio uomo di fiducia verso il Canada e firmò un trattato con Solimano il Magnifico che gli assicurò il privilegio di commerciare in esclusiva con lo sterminato impero ottomano.

Da parte loro i nobili vivevano nelle terre di loro proprietà come altrettanti vassalli del Re.

Se al contrario le abbandonavano era per recarsi a corte dove il Re era prodigo di onori e di privilegi per quanti gli erano devoti e accorrevano dai loro castelli a rendergli omaggio.

È proprio in questo periodo che la corte assunse un importanza che prima non aveva avuto ed uno splendore che si manterrà immutato a dispetto di tante alterne vicende fino allo scoppio della Rivoluzione.

A corte sono le donne che rivestono il ruolo principale e non raramente determinano il corso degli eventi.

Ad esempio Anna di Bretannia era solita circondarsi di un gruppo di saggi consiglieri e studiosi mentre Francesco I chiamava a corte le favorite.

Si profilava di già l’avvento di una nuova classe quella dei cortigiani che tanta importanza finirà con l’avere presso la corte francese.

Sia in senso negativo che in quello positivo.

Ad esempio non raramente poeti e artisti tra i più importanti e validi della letteratura francese erano per l’appunto cortigiani.

Tutti in un modo o nell’altro prendevano dal Re e dall’amicizia che egli dimostrava nei loro confronti di che vivere non solo ma vivevano in modo principesco.

Quanto al terzo Stato la borghesia cittadina viveva anch’essa la propria epoca d’oro, arricchendosi grazie ai commerci e alle modeste cariche che il sovrano elargiva anche nei suoi confronti.

Scaltro e avveduto il piccolo borghese non perdeva occasione per compiere il tanto desiderato salto in avanti ed entrare a far parte della nobiltà, dal momento che il potere dell’oro faceva chiudere gli occhi davanti alla modestia delle origini.

Per una sola classe i tempi sembravano non essere affatto cambiati.

Infatti i contadini gli abitanti dei villaggi erano rimasti inchiodati al loro ruolo di servi della gleba.

Possiamo dire che per loro il Medioevo continuava ad esistere anche in pieno splendido Cinquecento.

Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il Cinquecento fu un secolo dominato da molteplici interessi.

Se da un lato l’arte e la letteratura conobbero momenti di grande splendore gli spiriti elevati dell’epoca furono non meno attratti dal misterioso fascino dell’ignoto e dalle frontiere proibite che la magia indicava.

L’alchimia annoverava un gran numero di seguaci che nel chiuso dei loro laboratori tentavano astrusi esperimenti alla ricerca di un qualcosa di nuovo che di volta in volta potesse rendere immortali potenti eternamente giovani se non addirittura possessori della mitica pietra filosofale.

Ma anche gli indovini traevano il massimo del profitto dall’atteggiamento che ricchi e poveri dotti e ignoranti avevano nei riguardi della necromanzia.

Un semplice sospetto di stregoneria era più che sufficiente per mettere in moto un terribile apparato di tribunali di inchieste e infine di condanne.

Ma i sinistri bagliori dei loro innalzati sulle piazze pubbliche rischiaravano un orizzonte sempre più cupo.

Non vi era sperduto villaggio o popolosa borgata che non annoverasse tra i propri abitanti persone considerate maghi e streghe, considerate in grado di elargire filtri pozioni e elisir di vario tipo.

D’altra parte non c’era contadino o artigiano che sapesse rinunciare alla tentazione di consultare il negromante prima di prendere un importante decisione riguardante una faccenda d’amore o di interesse.

Da sempre l’uomo ha avuto in sé questo desiderio di penetrare il futuro e di squarciare il velo di mistero che avvolge la vita umana.

Se nei secoli antichi tale facoltà di vaticinio assunse il significato di un rito amministrato da una casta sacerdotale eletta, nel XVI scolo non era certamente più così dal momento che l’arte magica si era deteriorata.

In definitiva possiamo concludere il nostro discorso sul XVI secolo mettendo in evidenza che esso fu un periodo storico senza dubbio magnifico in tutti i settori della vita sociale e culturale ma anche pieno di evidenti contraddizioni.

In ogni caso sarebbe un grave errore non tenere conto del fatto che più che mai nel caso della storia l’uomo è misura di tutte le cose e al suo giudizio viene affidato l’immane compito di esprimere una parola positiva o negativa nei confronti di un determinato periodo storico.

Ciò è valido anche per i giudizi storici formulati nei riguardi del Cinquecento.

Prof. Giovanni Pellegrino

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