
“Un’esperienza fantastica – commenta ora che è tornata a Cesena – sia dal punto di vista emotivo che personale è un viaggio che ti cambia la vita”. Joli ha potuto osservare da vicino l’attività a terra delle basi scientifiche artiche, oltre a studiare l’Antartide praticamente sotto ogni punto di vista (politico, naturalistico, geologico). E, ovviamente, ad approfondire gli effetti del cambiamento climatico su una delle aree più delicate del pianeta. “Il programma australiano Homeword Bound, che con la spedizione a cui ho partecipato è giunto alla sua seconda edizione, ha proprio quest’obiettivo: oltre a promuovere il ruolo e la visibilità delle donne all’interno del mondo scientifico, il progetto vuole infatti focalizzarsi sulla lotta ai cambiamenti climatici unendo scienza e comunicazione”.
E quale modo migliore per farlo di spedire un’ottantina di scienziate nel luogo più inospitale del mondo? “Pur essendo verso la fine dell’estate il clima è stato abbastanza “mite”, le temperature oscillavano tra i -15 e gli 0 gradi. Ma era imprevedibile: una mattina ti puoi svegliare con il sole e dopo un paio d’ore ritrovarti in una tempesta di neve. Credo che proprio le condizioni climatiche estreme abbiano contribuito a creare una grande intesa tra di noi – prosegue Joli, unica italiana della spedizione insieme alla ricercatrice Gaia dell’Ariccia, che però lavora in Francia – Probabilmente l’essere così lontani dai nostri riferimenti culturali e sociali abituali ci ha spinte ad instaurare un’atmosfera di grande collaborazione”. Il resto lo hanno fatto le attività “indimenticabili” e i paesaggi “di una bellezza indecifrabile, che non ha pari”, costellati da una fauna selvatica e affascinante composta da megattere, albatros, foche e orche. “E pinguini”, ricorda la professoressa.
“Prima di partire la IAATO, l’ente che regola l’accesso al continente, ci ha istruito sui comportamenti da tenere con la fauna. Ad esempio, non dovevamo avvicinarci troppo ai pinguini, mantenendo una distanza di cinque metri. Peccato che loro non lo sapessero: sono molto giocosi e curiosi, si avvicinano, giocano e si appoggiano sulle tue gambe”. Per partecipare alla spedizione Joli, che in passato ha studiato i buchi neri all’Università di Bologna e all’École Normale Supérieure di Parig e che al lavoro di docente affianca quello di autrice di testi scientifici, ha dovuto avviare le pratiche oltre un anno fa. “Il progetto mi è stato segnalato da un’amica francese, e mi è piaciuto subito. Ho mandato la mia domanda, completa di curriculum e video di motivazioni, e ho aspettato. È andata bene, perché su 2.500 richieste hanno selezionato in tutto un’ottantina di scienziate”.
Da quel momento è partita un’intensa attività di formazione, principalmente online, durata all’incirca dodici mesi, e culminata con l’esplorazione scientifica in Antartide. “Tra i progetti a lunga scadenza del programma – spiega
ancora Joli – c’è anche la creazione di una comunità di donne inclusiva e collaborativa, in grado di esprimere una voce corale sui temi ambientali”. Nel suo piccolo, la professoressa cesenate intende attingere dal materiale di prima mano immagazzinato durante l’esperienza per poi riproporlo in classe e nei suoi testi scientifici. Sempre con un unico obbiettivo bene in mente: “Mantenere alta l’attenzione sulla salvaguardia dell’ambiente naturale”.
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