
E’ considerata il primo esemplare di letteratura svedese scritta. Finora si pensava che conservasse l’antica storia mitologica del Paese. Niente eroi né battaglie, niente leggende del popolo che fu né tanto meno le imprese del re ostrogoto, l’imperatore Teodorico il Grande. La famosa pietra runica di Rök non parlerebbe di tutto questo, ma semplicemente di sé stessa. Di come è fatta e dell’importanza della sua lingua.
E’ una storia davvero strana quella della Rökstenen, una delle più importanti pietre runiche al mondo, primo esempio conosciuto di iscrizione runica nella roccia. Per oltre un millennio è rimasta nascosta, in quanto pietra che ne faceva parte, nella chiesa del paese che poi prese proprio il nome di Rök a Östergötland, in Svezia. Poi nel 1843, quando una squadra di operai edili mentre faceva dei lavori ha scoperto che quella roccia particolare aveva incisioni su cinque lati (e non solo dunque quelle visibili da un solo lato), si è cominciato a pensare che custodisse un segreto importante. Così nel 1862 è stata rimossa e posizionata nel cortile della chiesa dove è tuttora ed è meta per turisti e visitatori. Incisa ovunque con iscrizioni runiche, è considerata il primo esemplare di letteratura svedese scritta. Ma non solo: finora si pensava, grazie al lavoro di diversi studiosi, che quella pietra conservasse le gesta di Dei, eroi e ostrogoti, insomma l’antica storia mitologica del Paese (è datata intorno all’800).
Secondo gli esperti in quelle incisioni criptate custodiva infatti la mitologia e a più riprese si è aperto il dibattito su come “leggerla”, sul fatto che fossero riportate o meno le leggende di un padre che perse il figlio in battaglia, oppure le gesta di Teordorico, o ancora i segreti del popolo norreno. Per Per Holmberg però, ricercatore e professore dell’Università di Goteborg che ha appena pubblicato un nuovo studio su Rök, non si tratta di tutto questo. Quello che Varinn, autore delle incisioni sulla pietra, avrebbe voluto lasciare ai posteri era parlare secondo Holmberg “proprio della pietra stessa”. Nel nuovo studio lo svedese racconta infatti come sulla roccia, esattamente come avviene per altre pietre runiche di quel periodo, ci siano semplicemente riferimenti al monumento stesso: ovvero incisioni che riferite alla luce solare (nella parte anteriorie)della quale ci sarebbe bisogno per leggere la pietra runica e del valore delle incisioni stesse o dell’alfabeto runico (posteriore).
E allora niente leggende di Teodorico? Già, come prospettato 10 anni fa anche dal professor Bo Ralph ci sarebbe stato un errore nella lettura. Dunque niente “indovinelli”, piuttosto messaggi sul valore della scrittura stessa e di come questa permetta di tramandare e commemorare i defunti. Un’ipotesi, quella di Holmberg, che cambierebbe radicalmente la storia, in particolare quella basata sui precedenti studi di Rök. In particolare, basandosi sulla semiotica sociale, il ricercatore sostiene che quelle rune cifrate si occupino dell’alba e appunto l’utilizzo della
luce nel leggere la pietra, dell’intaglio della rune stessa e infine della lettura di questa. Se altri studiosi dovessero confermare la teoria di Holmberg i fanatici della pietra “magica” dovrebbero farsene una ragione: niente mitologia vichinga, ma soltanto autoreferenzialità.
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