Google – secondo Bloomberg – avrebbe pagato milioni di dollari per avere i dati da Mastercard e le due società avrebbero discusso anche la divisione di una parte dei guadagni, secondo persone che hanno lavorato all’intesa.
Se l’accordo fosse vero (le due compagnie non ne hanno mai parlato pubblicamente), la maggior parte dei possessori di Mastercard sarebbe stata inconsapevole di questo tracciamento, fa notare Bloomberg. Lo scorso anno Google ha annunciato un servizio chiamato “Store Sales Measurement” spiegando di avere accesso ad “approssimativamente il 70%” delle carte di debito e credito Usa attraverso dei partner, senza menzionarli.
Il motore di ricerca ha precisato in una nota la sua posizione: “Prima di lanciare questo prodotto in versione beta lo scorso anno, abbiamo sviluppato una nuova tecnologia di crittografia in doppio cieco che impedisce sia a Google sia ai nostri partner di visualizzare le informazioni personali identificabili degli utenti. Non abbiamo accesso a nessuna informazione personale dalle carte di credito e di debito dei nostri partner, né condividiamo alcuna informazione personale con i nostri partner. Gli utenti Google possono fare opt out in qualsiasi momento utilizzando gli strumenti gestione Attività Web e App”.
La vicenda ancora una volta solleva questioni di privacy: “Le persone non si aspettano che le cose comprate nei negozi fisici siano collegate a quelle comprate online, non c’è abbastanza informazione ai consumatori su cosa stanno facendo e che diritti hanno”, spiega Christine Bannan, dell’Electronic Privacy Information Center (EPIC). Qualche settimana fa Unicredit ha interrotto le interazioni con Facebook giudicando il social network “non etico”.
Lo scorso anno Google ha annunciato un servizio, chiamato Store sales management, spiegando di avere accesso al «70% delle carte di debito e credito Usa attraverso dei partner», senza menzionarne i nomi. Google e Mastercard avrebbero poi discusso come spartirsi le quote di ricavi aggiuntivi derivanti dall’advertising digitale, anche se una portavoce di Big ha smentito il retroscena.
Mastercard ha ammesso di condividere i «trend dele transazioni» con commercianti e altri fornitori di servizi per consentire loro di «misurare l’efficacia delle loro campagne di advertising». Le informazioni includono però volumi di vendita e prezzo medio dell’acquisto, senza entrare nel merito di transazioni individuali o dati personali.
Una linea simile a quella sposata da Google: «Prima di lanciare questo prodotto in versione beta lo scorso anno – scrive l’azienda di Mountain View in una nota – abbiamo sviluppato una nuova tecnologia di crittografia in doppio cieco che impedisce sia a Google sia ai nostri partner di visualizzare le informazioni personali identificabili degli utenti. Non abbiamo accesso a nessuna informazione personale». Google sta testando in questo periodo dei servizi di analisi dei dati, che consentono agli inserzionisti di visualizzare dati e stime aggregate sull’efficacia delle rispettive campagne pubblicitarie.
L’intesa con Mastercard rientra nel tentativo di fornire correlazioni più interessanti fra pubblicità online e shopping fisico, dopo aver abbondamente vagliato quelle fra l’adverting virtuale e il commercio elettronico. Un focus che solleva problemi sulla privacy dei cittadini. «Le persone non si aspettano che le cose comprate nei negozi fisici siano collegate a quelle comprate online, non c’è abbastanza informazione ai consumatori su cosa stanno facendo e che diritti hanno», spiega Christine Bannan, dell’Electronic privacy information center.
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