Reddito con i bitcoin è considerato come prodotto all’estero

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Reddito con i bitcoin è considerato come prodotto all'estero
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I bitcoin vanno dichiarati al fisco. Anche le criptovalute vanno indicate nel Modello Unico e riportate nella dichiarazione dei redditi all’Agenzia delle Entrate.

Brutte notizie per chi credeva che le criptovalute fossero esenti dall’obbligo di indicazione nella dichiarazione dei redditi. Il Tar Lazio ha infranto i sogni dei nuovi evasori che, al posto della moneta di carta, investono in quella digitale. Secondo i giudici amministrativi, i bitcoin vanno dichiarati al Fisco.I bitcoin vanno dichiarati al fisco

Le criptovalute, in genere, sono da considerare come redditi finanziari prodotti all’estero.

Prevale così la tesi dell’Agenzia delle Entrate che impone di includere le monete elettroniche nell’ambito dei redditi finanziari esteri da dichiararsi nel quadro RW del Modello Unico Persone Fisiche.

Legge sui bitcoin e criptovalute

A norma dell’art. 4 d.l. n. 167/1990, conv. in l. n. 227/1990, le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ai sensi dell’art. 5 TUIR, residenti in Italia, che, nel periodo di imposta detengono investimenti all’estero, ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi. A tal fine, è stato inserito nel modello Unico il quadro RW (in ordine alle attività detenute all’estero, ordinariamente il contribuente assolve l’Imposta sul Valore degli immobili all’estero – IVIE – e l’imposta sul Valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero – IVAFE-; nel caso delle valute virtuali, come chiarito nelle Risoluzioni dell’Agenzia, l’IVAFE non è dovuta, dal momento che non si tratta di investimenti in depositi bancari ed a tale scopo si richiede la barratura della casella 20, posta in corrispondenza dei righi da RW1 a RW5).

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

Con l’Interpello nr. 956-39 del 2018 l’Agenzia aveva (già) espresso l’orientamento secondo il quale le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il citato quadro RW (indicando di inserire nella colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 (“altre attività estere di natura finanziaria”). Tale orientamento corrispondeva a quanto avvertito anche in dottrina (e, più precisamente, nei commenti agli adempimenti fiscali del 2018 per il 2017).

In pratica, la legge ha esplicitamente inserito l’utilizzo delle “monete virtuali” tra le operazioni relative ai trasferimenti da e per l’estero, rilevanti ai fini del relativo monitoraggio ex art. 1 d.l. n. 167/1990.

Viene respinta, inoltre, la tesi secondo la quale la moneta virtuale non sarebbe in alcun modo riconducibile ad investimenti di tipo finanziario in quanto avente mera natura di mezzo di scambio.

La tassazione non si giustifica tanto per via semplice possesso di valute virtuali in quanto tali, bensì per il loro impiego e la loro utilizzazione entro il novero delle diverse operazioni possibili, coerentemente con la loro natura effettiva, che è – per l’appunto – “rappresentativa di valori” che, a loro volta, sono costituiti da utilità economiche e quindi espressivi di capacità contributiva.

note: [1] TAR Lazio, sez. II – 3, sentenza n. 1077/20; depositata il 27 gennaio.

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