Dirottare o affondare una nave hackerando i sistemi? Fin troppo facile. La digitalizzazione dei sistemi di navigazione e gestione delle imbarcazioni ha aperto la strada agli attacchi informatici.
L’introduzione sulle navi di GPS, pilota automatico e comunicazioni costanti via Internet hanno reso la navigazione molto più agevole per chi attraversa gli oceani. Il rovescio della medaglia, però, è che l’implementazione di tutti questi strumenti è stata fatta senza tenere d’occhio un aspetto che la gente di mare (di solito) non è portata a sottovalutare: la sicurezza.
Come spiega un rapporto pubblicato su Internet da Pen Test Partners, che in passato si è già occupata della questione, il problema non riguarda soltanto l’ipotesi in cui i dispositivi installati siano mal configurati o poco protetti, ma le loro stesse caratteristiche, a partire dai protocolli di comunicazione utilizzati.
L’analisi dei ricercatori parte dalla facilità con cui è possibile tracciare qualsiasi imbarcazione sul pianeta, utilizzando per esempio il sistema messo a disposizione da Shodan. Ma dalle parti di Pen test Partners hanno realizzato qualcosa di ancora più efficiente: una mappa interattiva (si può visualizzare il sample non aggiornato in tempo reale a questo indirizzo) ottenuta semplicemente incrociando dati accessibili per chiunque, come i dettagli delle comunicazioni satellitari e il GPS.
Nel rapporto, però, illustrano un attacco che parte dalla violazione delle credenziali di accesso al terminale e sfrutta una catena di bug piuttosto gravi. Tra questi la presenza di credenziali predefinite inserite nel codice del software di controllo (protette con un sistema di hashing MD5 estremamente debole) e l’assenza di un sistema che impedisca l’installazione di un firmware precedente.
Quest’ultima vulnerabilità, spiegano gli analisti di Pen Test Partners, consentirebbe a un pirata informatico di forzare un rollback a una versione precedente del firmware aumentando la superficie di attacco grazie alle eventuali falle di sicurezza presenti nel vecchio software.
Ma cosa potrebbe fare un pirata informatico una volta ottenuto l’accesso al terminale satellitare? Visto che nelle infrastrutture informatiche a bordo delle imbarcazioni non è prevista alcuna forma di segmentazione della rete, avrebbe accesso all’intero network.
Per provocare un danno, gli basterebbe puntare dritto al componente più sensibile che si trova a bordo: si chiama Electronic Chart Display and Information System (ECDIS) ed è, in pratica, il sistema di navigazione utilizzato dal pilota automatico.
Nel loro rapporto i ricercatori sottolineano come i vari sistemi ECDIS che hanno analizzato utilizzino sistemi operativi obsoleti (addirittura Windows NT) e come violarli sia semplicissimo. Una volta ottenuto accesso all’ECDIS, è possibile fare qualsiasi cosa. Per esempio alterare i dati GPS per fare in modo che il pilota automatico mandi l’imbarcazione a schiantarsi contro un ostacolo.
Questa, però, non è l’unica vulnerabilità legata ai sistemi interni delle imbarcazioni “moderne” (le virgolette sono d’obbligo) che consentirebbe azioni potenzialmente devastanti.
Le comunicazioni dei sistemi, infatti, sono affidate a NMEA 0183, un protocollo che usa messaggi in semplice testo senza crittografia, autenticazione o validazione. Risultato: avendo accesso alla rete è possibile modificarli a piacimento, addirittura ordinando al pilota automatico di virare a tribordo al posto che a babordo modificando due semplici valori nel messaggio.
Lascia un commento