Linus Torvalds: “Happy birthday, Linux”

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Linus Torvalds: "Happy birthday, Linux"
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Parla l’uomo che nell’agosto di venticinque anni fa cominciò dal cuore del sistema operativo: sviluppò la prima versione del kernel Linux, ciò che in un computer decide quale programma fa cosa, quando, con quali risorse.
IL SEGRETO PER CAMBIARE IL MONDO?
“Non avere nessuna pretesa di farlo”. Linus Torvalds confessa: detesta gli idealisti, disprezza i rivoluzionari, trasforma i nemici in alleati, perché ciò che conta è essere pragmatici. La sua filosofia è: “comincia da una piccola cosa”. Lui nell’agosto di venticinque anni fa cominciò dal cuore del sistema operativo: sviluppò la prima versione del kernel Linux, ciò che in un computer decide quale programma fa cosa, quando, con quali risorse. Quel “cuore” oggi è una parte integrante delle nostre vite, dal pc allo smartphone all’internet delle cose. A renderlo speciale è il suo essere open source: scegliendo di sviluppare il sistema in modo aperto, rivelando i codici e puntando sul contributo collettivo, il giovane informatico finlandese sfidò il software proprietario di colossi come Microsoft. Oggi sono proprio loro ad essersi convertiti a Linux e all’open source, neppure Microsoft ne fa a meno. In un quarto di secolo, Torvalds si è trasformato da geek solitario a dominatore della tecnologia. Il “cuore” però non è cambiato, dice lui e migliorare il kernel rimane la sua passione-ossessione.

Venticinque anni fa, Linus e Linux facevano il loro debutto in società. Lei era ancora uno studente quando scrisse quel famoso messaggio: “Ciao a tutti, sto lavorando a un sistema operativo libero”. Cosa provò a obiettivo raggiunto?
“Mai raggiunto l’obiettivo, con Linux, anzi. Quel progetto ha fatto saltare ogni mio schema. Sin da bambino ero un tipo solitario e per me i computer erano “giocattoli” fantastici: da solo, davanti allo schermo, mi dedicavo a un progetto finché potevo dire “Ok, funziona”. Nel ’91 la svolta: a ventitré anni, per Linux ho tradito la mia vocazione alla solitudine. Ho reso pubblico il progetto e la gente ha cominciato a commentare: “Sì, funziona, ma servirebbe anche x o y”. L’obiettivo si spostava sempre in avanti. Con Linux non ho mai pensato: “Il gioco è fatto”. Anche oggi la motivazione resta intatta: il gusto per la miglioria tecnica, l’interesse per il kernel. Più che un businessman rimango un irriducibile geek”.

Il pinguino non ha scombinato i piani solo a lei: ha cambiato il panorama della tecnologia fino a dominarlo. Nel 2005 “Business Week” scrisse che “Torvalds il geek minaccia Microsoft”. Oggi Microsoft dice “amiamo Linux”. In che modo Linux ha fatto la differenza?
“Trasformando l’open source nella “nuova normalità” della tecnologia. Newton diceva: “Se devi vedere oltre, siediti sulle spalle del gigante”, se vuoi che il progresso scientifico faccia passi avanti, devi farti forte delle idee degli altri. Vale anche per i software: lo scambio di idee fa la differenza. Ecco cos’è, per me, l’open source. Linux non è il primo progetto sviluppato in forma collettiva e aperta, ma è il più grande. Soprattutto, ha una vocazione pragmatica: con Linux l’open source si è trasformato da movimento di nicchia e ideologico (com’era il “movimento per il software libero” delle origini) a qualcosa di pienamente integrato nel mondo tech. Oggi anche i giganti non ne fanno a meno”.

I “fedeli alla libertà di software”, direbbero magari che Linux ha venduto l’anima (e il kernel) agli interessi delle grandi aziende. E lei? Non ha mai avuto paura di compromettere il progetto?
“Io sono pragmatico fin nel midollo. Non ce l’ho con gli ideali: ognuno dovrebbe averne, nel suo intimo. Ma ce l’ho con gli idealisti, quando pensano di poter dire agli altri quali ideali seguire e li professano come una fede, fino a dire che il software proprietario è “il Male”. Certo, all’inizio ho avuto un po’ di paura che qualcuno potesse intrappolare Linux snaturandolo. Ma oggi sono convinto che se non avessimo abbattuto le frontiere tra i “geek puri” e gli interessi commerciali, come è avvenuto con Linux sin dal 1992, ci saremmo persi una buona parte delle innovazioni”.

Lei sembra avere fiducia nella tecnologia e in chi la gestisce. Nessuno scenario la inquieta? La concentrazione dei dati nelle mani di pochi, la sorveglianza, la “schiavitù” dell’automazione?
“Le ombre, a volerle vedere, ci sono. Oggi la tecnologia rende le intercettazioni più facili. E sì, in futuro l’intelligenza artificiale potrebbe avere un lato “da incubo”. Ma sono ottimista, da sempre. Se penso a come internet ha cambiato il nostro modo di comunicare, e se penso al futuro – a cominciare dai robot – io vedo innanzitutto il potenziale”.

Dopo aver rivoluzionato l’era di pc e smartphone, qual è la sua prossima frontiera?
“Non ho mai voluto rivoluzionare alcunché. Chi intraprende un percorso perché vuole cambiare il mondo, non soltanto fallirà quasi per certo, ma da quei fallimenti uscirà scoraggiato e in definitiva più cinico. Io, da pragmatico, sono l’opposto del rivoluzionario. La mia filosofia è: prendi una piccola cosa, una piccola parte del sistema (e io ho preso il “cuore” del sistema operativo), prova a migliorarla, poi mettila a disposizione degli altri. L’ho fatto con Linux, e la “piccola cosa” è diventata grande. Non credo di aver cambiato il mondo, ma sono felice e soddisfatto di ciò che ho realizzato”.

Nessun sacrificio di troppo in nome del codice, nessun rimpianto?
“I miei sogni erano altri, sa?
Sono cresciuto con il mito di Newton e Gauss, mi immaginavo fisico o matematico. Al momento di scegliere la facoltà, pensai che l’hobby per i computer mi avrebbe aperto una carriera migliore e scelsi l’informatica. Sacrificio? A posteriori dico: meno male che l’ho fatto!”.

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