L’Europa tech si scopre più ricca. Finanziamenti record per l’Italia. Venture capital record quest’anno: 27 miliardi di euro, rispetto ai 22 miliardi del 2018. Milano fra gli hub più finanziati. Ci sono tante verità “nascoste” che emergono dal rapporto annuale sullo Stato della Tecnologia Europea del fondo di venture capital londinese Atomico, oggetto di odierna presentazione alla conferenza Slush di Helsinki e che il Sole24ore.com ha avuto modo di visionare in anteprima (è solo la seconda volta in cinque anni che lo studio viene reso noto anche in Italia). La prima indicazione, forte nel suo significato, che emerge dal rapporto elaborato sulla base delle risposte fornite da 5mila professionisti attivi nel mondo dell’innovazione (fra cui un migliaio di fondatori di startup), è inequivocabile: il settore tech del Vecchio Continente rappresenta quest’anno una voce particolarmente brillante nell’economia mondiale in virtù di finanziamenti che potrebbero superare la cifra record di 27 miliardi di euro, rispetto ai 22 miliardi del 2018.
Milano fra gli hub più finanziati
In uno scenario che si presenta quindi assai dinamico, pur non mancando ostacoli come la mancanza di coesione tra i governi europei e la comunità tecnologica, l’Italia gioca finalmente un ruolo da protagonista. Stando al rapporto, infatti, il nostro Paese ha registrato investimenti per oltre 450 milioni di euro nel corso del 2019, segnando una crescita del 23% rispetto all’anno precedente; la nostra città più importante in ambito tech, e cioè Milano, si è inoltre classificata tra i primi 20 hub europei per finanziamenti ricevuti, per un totale di 270 milioni di euro. Detto questo, e veniamo alle dolenti note, il ritardo del nostro ecosistema rispetto a quello dei Paesi più vicini a noi geograficamente è ancora evidente (e se vogliamo poco giustificabile): Germania, Francia e Svizzera, rispettivamente, hanno raccolto capitali in volumi 11, 9 e 3 volte superiori (i dati sono di Dealroom) e ci ricordano indirettamente le tante sfide che il movimento dell’innovazione tech italiano deve ancora affrontare e vincere. Quali? Siamo per esempio solo settimi in Europa per numero di programmatori (solo 315mila) e vantiamo un primato negativo di developer pro capite, tanto che il nostro è l’indice più basso in Europa e quello cresciuto meno anno su anno rispetto alle percentuali virtuose esibite da Regno Unito, Paesi Bassi e Francia (lo confermano recenti rilevazioni di Stack Overflow).
Le difficoltà di chi avvia un’azienda tech in Europa
Si chiama “mental wellbeing”, benessere mentale. Ed è una preoccupazione purtroppo abbastanza diffusa fra gli startupper tecnologici europei: un quarto di loro ha infatti ammesso che l’avvio della nuova azienda ha avuto un importane effetto negativo sulla loro salute mentale, a causa della difficoltà nel trovare l’equilibrio tra lavoro e vita privata e di gestire da soli gli aspetti manageriali. Il 57% dei fondatori, in particolare, avrebbe gradito ricevere sostegno dal consiglio di amministrazione o dagli investitori mentre chi proviene da un contesto socioeconomico non particolarmente elevato ha dovuto affrontare seri ostacoli finanziari per diventare imprenditori.
I plus e i minus
La guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina non sembra aver influito negativamente sul percorso di crescita del settore tecnologico europeo, crescita che si dimostra, usando la terminologia degli autori del rapporto, “costante e solida”, oltre che certificata dai numeri. I round oltre i 90 milioni di euro, infatti, sono stati ben 40 da inizio gennaio a tutto settembre, nonostante un rallentamento delle exit supportate dai fondi di venture capital, mentre diverse aziende non finanziate dai VC, come Nexi e Trainline, hanno fatto il loro debutto sui listini azionari e altre sono sempre più prossime allo status di unicorno. C’è, per contro, una limitata conoscenza da parte delle startup delle politiche di sviluppo sull’innovazione della Commissione Europea (il 40% confessa di non essere sufficientemente informato in materia) e c’è, parallelamente, una scarsa attitudine dei funzionari Ue a discutere di fintech e salute digitale, due settori in cui sono stati investiti oltre 11 miliardi di euro solo nell’ultimo anno.
Diversità, questa sconosciuta
Nel 2019, il 92% dei finanziamenti è andato a team formati da uomini, un numero simile al 2018 (dati Dealroom), e c’è al momento solo una donna a ricoprire il ruolo di Chief technology officer su un totale di 119 nelle aziende tecnologiche europee che hanno raccolto dai venture capital un finanziamento series A o B superiore ai 9 milioni di euro fra ottobre 2018 e settembre 2019 (Stack Overflow, Craft e Dealroom le fonti di questi parametri). La sperequazione di genere è quindi evidente e rafforzata anche da diversi altri indicatori, come il risicato 7,5% di ingegneri informatici donne. (Fonte: Stack Overflow, Craft, Dealroom) o l’80% di addetti neri, africani e caraibici discriminati per motivi legati alla loro etnia. Vanno lette invece in accezione positiva le risposte relativamente agli impatti sociali e ambientali delle società tech: l’86% dei fondatori di queste aziende considera questo tema rilevante e oltre un dipendente su due pone grande attenzione alla responsabilità sociale delle imprese.
Cosa dicono gli esperti
«Le imprese tech europee stanno ottenendo risultati a un livello che molti consideravano impensabile cinque anni fa». L’assunto di Tom Wehmeier, Partner e Head of Insights di Atomico e fra i “contributor” dello studio è esplicito e fonda sul fatto che oggi “c’è un ampio bacino di talenti e vi sono più di 150 aziende nate in Europa che valgono miliardi”. Nonostante i passi in avanti, c’è però ancora molto da fare (il fronte della diversità è sicuramente uno dei più “cladi”) e, come osserva il manager, “serve che l’Europa tracci un percorso in grado di creare le condizioni ottimali per un’innovazione continua”. È necessaria maggiore cooperazione fra pubblico e privato, insomma, ma questa è una sfida che si sta giocando da tempo, anche (seppur con limitati risultati) in Italia.
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