Cinquantaquattromila. Sono i potenziali casi di revenge porn, e di estorsione sessuale, che Facebook ha dovuto analizzare. Non in un anno, ma in un singolo mese. Una mole enorme che mette in luce tutte le difficoltà che incontrano i moderatori della rete di Mark Zuckerberg. È quanto emerge spulciando sempre più a fondo i “Facebook Files”, cioè i documenti riservati della piattaforma ottenuti dal Guardian. Una serie di linee guida che il team deposto a decidere cosa vediamo e cosa no in bacheca deve rispettare quando fa fronte a post violenti, al terrorismo, o ai fake. E, ovviamente, anche al sesso e alla pornografia.
Adesso sappiamo, per esempio, che Facebook consente espressioni generiche di desiderio sessuale, l’importante è che non vengano forniti i dettagli. Sì a foto di baci a bocca aperta, sesso simulato e anche attività sessuali pixellate. No a immagini esplicite, quando segnalate dagli utenti. Ma – in questo caso – ancor più delle regole arbitrarie e opinabili, a impressionare sono i numeri di chi sfrutta la piattaforma per forme di vendetta sessuale. Per la precisione, i documenti ottenuti dal Guardian mostrano che a gennaio i moderatori hanno segnalato ai loro superiori 51.300 potenziali casi di revenge porn, cioè la diffusione di scatti senza veli destinati a umiliare e danneggiare la persona ritratta. A questi si aggiungono 2,450 casi potenziali di “sextortion”, definito come un tentativo di estorcere denaro, o altre foto compromettenti, a un individuo.
La rete sociale ha aggiornato le proprie regole comunitarie e impiegato l’intelligenza artificiale per fermare la condivisione selvaggia di questo tipo di contenuti. Ma la strada da fare è ancora tanta, considerato che la cyber vendetta sessuale coinvolge sempre più persone. Eppure in Italia, come negli Usa, “non esistono fattispecie penali specifiche relative al fenomeno”, ha spiegato a Repubblica l’avvocato Fulvio Sarzana. Chi compie questi atti viene indagato, a seconda dei casi, per diffamazione (articolo 595 del codice penale) o per trattamento illecito dei dati personali (articolo 167 del codice privacy). Non, però, per reati di natura sessuale. Ma a mancare, per Sarzana, è “l’introduzione, anche per via legislativa, di uno strumento di rimozione rapida delle foto o dei video dalla rete, circoscritto a dei casi ben definiti e sotto il controllo di un giudice. Per evitare una rimozione massiva di contenuti e al tempo stesso consentire alle vittime di questa forma di ritorsione di tutelarsi immediatamente”.
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