Di Albert Einstein, del quale sabato ricorrono i sessant’anni della morte avvenuta a Princeton il 18 aprile del 1955 all’età di settantasei anni, la gente ricorda la sua genialità, il suo look trasandato e il famoso aforisma «tutto è relativo»: e se genialità e look non sono discutibili, il «tutto è relativo» è purtroppo un errore assai diffuso anche fra le gente colta, fuorviata da quel titolo (relatività) che Einstein usò per le sue teorie. Di fatto Einstein affermò tutto il contrario perché, partendo dalla premessa che «tutto è relativo», intese dimostrare che invece esiste un qualcosa di assoluto. Pensando ad Einstein, inoltre, è facile cadere nella tentazione di considerarlo un fisico tutto preso dalle sue formule e completamente indifferente di fronte ai problemi della vita di tutti i giorni; invece il padre della relatività si distinse anche per il suo impegno sociale e si batté sempre per la pace e il disarmo soprattutto in un epoca in cui il pericolo atomico incombeva sull’umanità. Alla fine degli anni Trenta, infatti, in Germania alcuni fisici stavano lavorando alla fissione nucleare, il procedimento che è alla base della bomba atomica, e Einstein, temendo che Hitler avrebbe potuto usare la bomba per mettere il mondo ai suoi piedi, scrisse una famosa lettera al presidente Roosevelt per indurre il governo americano ad interessarsi delle ricerche nucleari. Stimolato da quella lettera, Roosevelt dette vita a una serie di iniziative che sarebbero poi culminate nel famoso Progetto Manhattan che riunì a Los Alamos un pool di fisici e tecnici guidati da Robert Oppenheimer. Einstein, però, non aderì mai al progetto e secondo Linus Pauling si sarebbe addirittura pentito di aver firmato quella lettera. Avrebbe firmato, invece, un appello indirizzato al presidente Truman, che nel frattempo era succeduto a Roosevelt, dove si deprecava l’uso della bomba. Quando, il 6 agosto del 1945, la sua segretaria gli comunicò la notizia appresa per radio della bomba atomica sganciata su Hiroshima, Einstein si lasciò sfuggire un «Oh weh» che riassumeva tutta la sua preoccupazione per un evento del quale, probabilmente, si sentiva responsabile se non altro per quella sua famosa formula dell’equivalenza fra massa ed energia che, in pratica, dimostrava che l’atomo di uranio era uno scrigno dal quale potevano scaturire incredibili quantità di energia. E il pensiero che fu proprio la bomba atomica a dimostrare l’esattezza della sua formula lo faceva sentire in qualche modo responsabile. Quella prima bomba atomica, secondo Einstein, aveva distrutto molto più della città di Hiroshima e poneva all’umanità drammatici interrogativi. «Si è conquistata la vittoria, ma non la pace», scrisse alla fine del 1945. E battendosi in nome della pace era convinto che il genere umano poteva essere salvato dagli orrori della guerra solamente da un governo sovranazionale in grado di eliminare i metodi della forza bruta. Ispirandosi al grande profeta della non violenza, era altresì convinto che il problema della pace nel mondo sarebbe stato risolto «solo applicando su larga scala il metodo di Gandhi». Avvertendo tutto il peso della responsabilità per aver contribuito a costruire mezzi di distruzione «più raccapriccianti e più efficienti», Einstein andò sempre più riaffermando il suo pacifismo esortando gli scienziati a fare tutto ciò che era in loro potere per impedire che queste armi fossero usate «per gli scopi brutali per i quali sono state inventate». E a questo proposito è molto significativo il “testamento spirituale” che aveva consegnato a Bertrand Russell e che il filosofo rese pubblico pochi mesi dopo la morte di Einstein, proprio alla vigilia dell’incontro dei quattro grandi (Eisenhower per gli Usa, Bulganin per l’Urss, Eden per la Gran Bretagna e Faure per la Francia) che nel luglio si sarebbero riuniti a Ginevra per discutere sul disarmo e sui rapporti Est-Ovest. Il “testamento”, sottoscritto da sette studiosi di fama internazionale, è un accorato appello alla pace messa a repentaglio dal pericolo della guerra nucleare. Einstein invita a non concentrarsi sui conflitti che agitano le nazioni ma a lavorare per una nuova mentalità che doveva rispondere a questa domanda: «Quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare il cui esito sarebbe disastroso per tutte le parti?». E quasi facendo il verso al dantesco «considerate la vostra semenza», scrive ancora: «Ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto » e conclude il suo testamento con queste parole: «Se sarete capaci di farlo vi è aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale». Così terminava il “testamento” di Einstein, uno dei più grandi geni dell’umanità. Per sua volontà il corpo fu cremato e le ceneri disperse in un luogo segreto. Di lui è rimasto solamente il cervello, che il patologo che eseguì l’autopsia decise di conservare per studiarlo. Sembra un cervello normalissimo, ma recenti studi hanno invece dimostrato che le connessioni fra i due emisferi sono diverse rispetto alla normalità.
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