PAPA Francesco e la sorella; Sergio Mattarella, i figli e i nipoti; Matteo Renzi con tutta la famiglia, inclusa la bambina più piccola, Ester, finita schedata direttamente in culla, ma non babbo Tiziano. Sono alcuni dei due milioni di nomi inclusi nella grande watchlist gestita da privati, che la commercializzano in abbonamento. Si chiama World-Check ed è un database confidenziale di proprietà del gigante dell’informazione finanziaria, Thomson Reuters, che stando ai dati dell’agenzia, viene utilizzato da 6mila clienti in 170 paesi nel mondo, da 49 su 50 delle banche più importanti, nove su dieci degli studi legali top e da trecento tra forze dell’ordine e agenzie di intelligence.
Per fare cosa? Per valutare se chi hanno davanti può essere in qualche modo legato a terroristi, criminali o anche politici a rischio corruzione. “Questo database”, precisa Thomson Reuters, “è stato creato per allertare chi lo usa su un possibile rischio e su situazioni che potrebbero richiedere un ulteriore controllo. Questo non implica che i soggetti inclusi pongano un vero rischio concreto”. Eppure c’è chi si è visto chiudere il conto dalla propria banca, improvvisamente e senza alcuna spiegazione, perché il suo nome era stato incluso nella categoria sbagliata di World-Check: tra i terroristi, per esempio, come è successo alla moschea di Finsbury Park, a Londra, quella presa di mira dall’attentato xenofobo domenica scorsa e che dal 2005 è un modello di moderazione e correttezza.
Abbiamo avuto accesso esclusivo al database con un team di media internazionali: il Times di Londra, la belga De Tijd, i tedeschi di Nde e Sueddeutsche Zeitung, l’olandese Npo e l’americano The Intercept. Una copia del database è finita online per errore, come ha scoperto un anno fa l’esperto americano in sicurezza informatica, Chris Vickery, che però ha deciso di non pubblicarlo. L’archivio risale al 2014 e include oltre 2 milioni di individui, società, organizzazioni, con 91.406 voci sull’Italia.
Una schedatura in alcuni casi condotta con criteri arbitrari, sulla base di fonti aperte, soprattutto articoli dei giornali, non sempre aggiornate o addirittura consultando siti web discutibili, come il controverso “Jihad Watch” considerato islamofobico. Nel database compaiono Greenpeace e Medici Senza Frontiere, sezione olandese, o anche Human Rights Watch. Il direttore di Human Rights Watch America, José Miguel Vivanco, compare con la nota biografica: “implicato nei piani di perseguire l’ex generale Pinochet in Cile”.
Julian Assange e WikiLeaks sono nella lista fin dal 2010. “Lo venni a sapere nel 2012, quando cercai di creare una società per la produzione di video. Un fiscalista dopo un altro accettava la mia pratica e poi la mollava senza spiegazione”, dice Assange a Repubblica: “Alla fine una società di assistenza fiscale ammise di aver rigettato la mia richiesta perché ero nel database World-Check”.
La politica italiana c’è tutta: da Matteo Renzi alla famiglia di Beppe Grillo al completo e giù giù fino a quello che nel 2005 era il vicesindaco di Montebello sul Sangro, paesino abruzzese di 94 anime, e all’esponente Noglobal Luca Casarini. Silvio Berlusconi è schedato sotto la voce “crimini finanziari”.
Una delle sezioni più controverse è quella che riguarda il terrorismo. Per l’Italia ad esempio c’è Casa-Pound, mai coinvolta in indagini di questo tipo. Preponderante la presenza delle nuove Brigate Rosse, dei membri della Federazione Anarchica Informale e degli attivisti No Tav mentre è esigua la presenza dell’estrema destra. Ci sono persone schedate nel 2004 come terroristi legate alle Nuove Br e mai cancellate nonostante le assoluzioni. Tra le sezioni più consistenti c’è quella sul crimine, organizzato e non, dove colpisce l’assenza di Massimo Carminati.
Repubblica ha interpellato il Garante per la Protezione dei dati personali, Antonello Soro: “Abbiamo ricevuto la segnalazione di un cittadino italiano che ha subito danni enormi dall’inserimento in World-Check di dati non aggiornati. Il suo profilo, anche dopo la sua specifica richiesta di cancellazione, continuerebbe a essere a disposizione di banche e di altri operatori finanziari”. Il nostro giornale ha anche interpellato Thomson Reuters per capire sulla base di quali criteri World-Check ha scelto di inserire papa Francesco, quanti italiani hanno chiesto di correggere informazioni e infine quali e quanti enti in Italia lo utilizzano.
David Crundwell, senior vice-president corporate affairs della Thomson Reuters, ci ha risposto che “le leggi e i regolamenti di protezione della privacy alla base di World-Check ci impediscono di discutere ogni profilo individuale “. Nel sottolineare che la copia del database uscita non è aggiornata, Crundwell precisa che chiunque può contattare Thomson Reuters se ritiene che le informazioni su di lui siano inaccurate: “Noi incoraggiamo a farlo e cerchiamo di rispondere più velocemente possibile”.
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