Il giudizio, nei fatti, resta in parte discrezionale
Lo ha precisato, da ultimo, il Garante per la protezione dei dati personali con il provvedimento del 17 maggio scorso, che ha ritenuto insufficienti quattro anni dall’arresto per accuse di terrorismo per ottenere la deindicizzazione della notizia dalla Rete. Del resto, la legge non fissa il termine esatto per veder riconosciuto il diritto all’oblio, limitandosi a prevedere che il titolare del trattamento debba cancellare i dati personali dell’interessato quando non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti. A cristallizzare per la prima volta il diritto all’oblio è stato l’articolo 17 del Regolamento Ue 679/2016 (Gdpr), dopo le univoche pronunce della Corte di giustizia europea, che avevano rafforzato la tutela degli interessati contro l’esposizione illimitata a notizie personali negative. La norma ha previsto il diritto dell’interessato a ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano. Quando il titolare non sia raggiungibile o non sia identificato, l’interessato potrà chiedere direttamente al motore di ricerca la deindicizzazione della notizia. Con l’entrata in vigore della riforma della giustizia penale (decreto legislativo 150/2022), il nuovo articolo 64-ter delle norme di attuazione del Codice di procedura penale ha previsto espressamente che la persona nei cui confronti è stata pronunciata una sentenza di proscioglimento, di non luogo a procedere, o un provvedimento di archiviazione, possa richiedere al giudice di inserire un’annotazione nella pronuncia con la quale venga disposta espressamente la deindicizzazione dei propri dati personali. È quindi la cancelleria del giudice che emette la pronuncia a inserire e sottoscrivere l’annotazione che avrà valore vincolante sia per i motori di ricerca sia per i titolari del trattamento, senza dover adire nuovamente il tribunale o il Garante per la protezione dei dati personali. Negli altri casi, si tratta di effettuare un delicato giudizio di bilanciamento che potrà dare luogo a tempi diversi per la rimozione o la deindicizzazione dei risultati di ricerca.Tempi variabili
Se il Tribunale di Milano con la sentenza 3579 del 2 marzo 2018 ha fissato in quattro anni il tempo sufficiente per la deindicizzazione della notizia relativa a un processo per truffa a carico di un commercialista, conclusosi con una sentenza di patteggiamento, in altri casi occorrono almeno dieci anni per ottenere lo stesso risultato. È successo ad esempio a un politico, non più in carica da diversi anni, che si era visto rifiutare dal motore di ricerca la richiesta di deindicizzazione di una esternazione resa dieci anni prima. Ha dovuto adire il Garante per la protezione dei dati personali per ottenere la deindicizzazione della notizia con il provvedimento dell’11 gennaio 2023. C’è anche chi dopo soli 18 mesi dalla sentenza di patteggiamento ha provato a invocare il diritto all’oblio, ottenendo il no alla richiesta fino in Cassazione (sentenza 9147 del 19 maggio 2020). Difficile poi stabilire con precisione anche chi debba essere qualificato come “personaggio pubblico”, per cui si possono dilatare i tempi di rimozione o deindicizzazione. Per il Tribunale di Roma, ad esempio, il “ruolo pubblico” non è attribuibile soltanto a politici, funzionari o personaggi noti perché mediaticamente esposti, ma anche a tutti gli uomini d’affari e agli iscritti in albi professionali (sentenza 12048 del 12 luglio 2018).LE SCELTE DEL GARANTE
Personaggio noto
Quattro anni dalla data dell’arresto di un noto giornalista e docente universitario per corruzione di alcuni magistrati tributari non è un periodo di tempo sufficiente per ottenere la deindicizzazione della notizia dal motore di ricerca. Occorre infatti tenere conto dell’interesse del pubblico alla sua conoscenza e al rilievo assunto dal soggetto coinvolto. Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento del 13 aprile 2023Processo per truffa
Il motore di ricerca deve deindicizzare i risultati relativi a un processo per truffa di dieci anni fa, posto che l’imputato è stato assolto e non riveste alcun ruolo pubblico attuale. Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento del 23 marzo 2023Uomo politico
Dieci anni di tempo non bastano per deindicizzare la notizia della condanna di un noto consigliere comunale a sette anni di carcere per lesioni personali e abuso d’ufficio. Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento del 15 dicembre 2022.
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