Fine del sogno anarchico dei crypto asset

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Semplice asset d’investimento? Oppure oro digitale? O, ancora, mezzo di pagamento che farà concorrenza alle monete statali?

Le domande sul Bitcoin, a fronte delle mosse effettuate dal nuovo presidente USA Donald Trump, sono legittime. Riguardano la natura stessa della cryptocurrency su cui, da anni, si polemizza. Proprio rispetto al tema in discussione Adam Back, crittografo e già cypherpunk (il gruppo da cui il token trae le origini socio/politiche/economiche e tecnologiche), ha una posizione precisa: «Non credo – ha dichiarato di recente al Sole24Ore – che il Bitcoin, nel mondo industrializzato, assumerà la caratteristica di mezzo di pagamento».

In questi mercati «le persone sono servite da un sistema bancario che già soddisfa le esigenze del retail. Inoltre i regolatori», come abbiamo visto, «sono contrari ad una simile ipotesi». È più probabile che «il bitcoin mantenga la valenza di riserva di valore. In altre parole: oro digitale».

Paesi poco bancarizzati

Diverso il discorso nei Paesi scarsamente bancarizzati. «Qui il token può essere sfruttato», ad esempio, nelle rimesse dei migranti. L’obiettivo? Disintermediare i sistemi di trasferimento del denaro che, non di rado, hanno elevate commissioni. Insomma: l’unico scienziato citato nel White paper di Satoshi Nakamoto non ipotizza per la criptocurrency un futuro da moneta concorrente a quella fiat.

Bensì, per l’appunto, di asset che conserva valore nel tempo. Vero! C’è chi – sottolineandone, tra le altre cose, l’elevata volatilità e la mancanza di un sottostante reale – ne esclude anche questa caratteristica. E, tuttavia, i sostenitori del cripto asset ribattono che, dalle origini ad oggi, l’andamento sinuisoidale del bitcoin è inclinato positivamente. Vale a dire: tra alti e bassi è sempre salito.

Il sogno anti sistema

Già, salito! A ben vedere, ciò che invece pare sceso dal treno delle cripto è il sogno anti sistema. «Uno spettro si aggira per il mondo moderno, è lo spettro della cripto anarchia». Così Timoty C. May (tra i più noti cypherpunk), richiamandosi all’incipit del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, iniziava il suo “The Crypto Anarchist Manifest” scritto nel 1988 e diffuso nel 1994.

Un chiaro inno – trasversale ad anarco capitalisti di destra e libertari con vocazione più solidarista – in favore della disintermediazione del sistema finanziario. Lo stesso Nakamoto riprende il concetto nel suo White paper. «Una versione puramente peer-to-peer di denaro elettronico (…) senza passare tramite un’istituzione finanziaria».

Quindi: è la disintermediazione una delle caratteristiche del Bitcoin. Sennonché: al di là delle mosse (a fini politici) di Trump, la finanza tradizionale va “appropriandosi” del token. Il segno di come l’ideale anti-sistema sia sullo sfondo.

Certo: la geniale struttura socio-tecnologica non è mutata e i bitcoiner restano “sovrani” di loro stessi. E, però, la massa retail “passa” per gli Etf emessi da classici istituti finanziari e quotati a Wall Street. L’utopia anarchica, alla fine, sparisce. Ma nel sistema capitalistico, si sa, l’utopia è destinata a lasciare il passo a profitto e speculazione.

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