Fake e siti-esca, Libra di Facebook a rischio truffa

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Facebook, l’alta finanza pronta a scaricare Libra. E Zuck attacca l’anti-monopolista Warren. Facebook e’ nuovamente nella bufera e sempre piu’ sulla difensiva. I grandi partner finanziari sono pronti a sfilarsi dal re dei social network – o meglio dall’ultimo, ambiziosissimo progetti del gruppo, nell’immagine e nella sostanza: la criptovaluta globale Libra.

Facebook e’ nuovamente nella bufera e sempre piu’ sulla difensiva. I grandi partner finanziari sono pronti a sfilarsi dal re dei social network – o meglio dall’ultimo, ambiziosissimo progetti del gruppo, nell’immagine e nella sostanza: la criptovaluta globale Libra. E, nel mirino di autorita’ di regolamentazione e della politica, il fondatore e chief executive Mark Zuckerberg reagisce stizzito, scagliandosi contro uno dei principali candidati alle primarie presidenziali democratiche, Elizabeth Warren, protagonista della crociata per arginare espansione e influenza di Big Tech.

Zuck, durante un discorso in azienda il cui contenuto e’ trapelato all’esterno, ha preso di petto Warren e il suo piano per combattere il dominio dei colossi tecnologici e di Internet attraverso breakup di Facebook e delle sue sorelle. Ha definito le idee del candidato alla stregua d’una “minaccia esistenziale”. Ma Warren ha subito risposto per le rime, accusando Zuck & company di abusi ai danni dei consumatori e della democrazia.

Che la strada di Facebook sia oggi in salita, oltre che in politica nelle strategie di business, l’ha testimoniato la potenziale frana del progetto innovativo quanto controverso della crypto-currency Libra. Tuttora agli albori, e’ gia’ ampiamente osteggiato da regulators globali scettici o preoccupati – o entrambe le cose, per interrogativi ad ampio raggio su supervisione e ruolo della divisa come su potenziali infiltrazioni criminali. Adesso, stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, Libra starebbe incassando importanti defezioni tra i suoi alleati: numerosi giganti della finanza – da Visa a Mastercard e non solo – potrebbero tirarsi indietro dal piano di dare vita a un network globale per un sistema di pagamenti fondato sulla nuova divisa digitale ideata da Fb. Potrebbero insomma scaricare Libra come una patata bollente.

I partner starebbero riconsiderando il loro impegno nonostante iniziali promesse proprio alla luce delle resistenze emerse. Hanno, in un primo segnale di ritirata, respinto ripetutamente richieste di Facebook di appoggiare pubblicamente il progetto dopo che il Tesoro Usa ha inviato una lettera a Mastercard, Visa, PayPal e Stripe chiedendo chiarezza sui rispettivi programmi di lotta al riciclaggio di denaro e su come Libra verrebbe integrata. Il chairman della Federal Reserve Jerome Powell non ha inoltre fatto mistero di forti timori per un lancio della valuta l’anno prossimo come ipotizzato dagli artefici.

La partita potrebbe essere arrivata al dunque. Giovedi’ esponenti della cordata alle spalle della cripto-valuta, la Libra Association, dovrebbero riunirsi a Washington in un vertice forse cruciale per il futuro del progetto. Il 14 ottobre e’ al momento fissato un appuntamento a Ginevra, sede ufficiale, per redigere e discutere la Carta fondante dell’Associazione e nominare un consiglio di amministrazione. Ondate di nervosismo e fughe, effettive o probabili, potrebbero pero’ mettere a rischio l’intero disegno di Libra nelle vesti di soluzione rivoluzionaria per i consumatori – e di nuova miniera di potenziali profitti per una Facebook a caccia di inedite entrate dai suoi 2,4 miliardi di utenti al mondo per fare i conti invece con frenate sul fronte dei dati, delle informazioni e della pubblicita’ che potrebbero essere ingabbiate da strette sulla privacy e giri di vite nella responsabilita’ per i contenuti.

Nel clima di incertezza, il duello a distanza ingaggiato con Warren complica ulteriormente il cammino. E’ scaturito da registrazioni di un incontro di Zuckerberg con i dipendenti avvenuto in estate e che sono sono state svelate da “The Verge”. Mostrano il lato piu’ acerbo del fondatore e amministratore delegato del re dei social media sotto assedio, l’altra faccia della medaglia rispetto alle scuse, promesse e toni diplomatici nelle piu’ recenti apparizioni pubbliche sotto i riflettori del Congresso e di authority federali che hanno in corso inchieste antitrust e di privacy su Big Tech.

“Se viene eletta Presidente avremo una battaglia legale e scommetto che vinceremo – dice il miliardario e top executive riferendosi ad una possibile presidenza Warren – Rimane per noi una prospettiva schifosa? Certo, non desidero imbarcarmi in un vasto ricorso giudiziario contro il nostro stesso governo. Non e’ la posizione in cui vorremmo essere. Amiamo il nostro Paese e vogliamo lavorare con il nostro governo per fare cose positive. Ma, alla fine, se qualcuno ci minaccia con qualcosa di cosi’ esistenziale, bisogna lottare sino in fondo”.

La replica della senatrice del Massachusetts, impegnata da sinistra in un testa a testa nei sondaggi per la nomination democratica con il centrista Joe Biden, non si e’ fatta attendere. “Quel che farebbe davvero schifo – ha detto via Twitter – sarebbe non correggere un sistema corrotto che permette a gigantesche aziende quali Facebook di perpetrare pratiche illegali e anti-concorrenziali, di calpestare i diritti di privacy dei consumatori, e ripetutamente di fallire nella responsabilita’ di proteggere la nostra democrazia”. Un riferimento per nulla velato alle accuse rivolte a Facebook e non solo di acquisizioni e aggressive manovre per emarginare rivali più piccoli, di mancata protezione dei dati personali per vendere a ogni costo il vero “prodotto” redditizio su Internet, gli utenti, di mancati controlli su pericolose informazioni manipolate e false durante le campagne elettorali.

Warren non e’ nuova a farsi nemici nella Corporate America al di la’ di Facebook. Nella finanza grandi donatori democratici hanno di recente lasciato trapelare che potrebbero boicottare una sua nomination alla Casa Bianca – o addirittura sostenere Donald Trump. Una decisione in protesta contro piani di Warren per una nuova imposta sui grandi patrimoni, chiave per pagare iniziative progressiste quali universita’ gratuite, sanita’ universale e riduzione del debito studentesco. Warren e’ stata anche tra le piu’ dure critiche delle grandi banche e di Wall Street durante e dopo la crisi del 2008, chiedendo un loro breakup, ed e’ stata padrina di una nuova authority federale di protezione dei diritti finanziari dei consumatori introdotta assieme alla riforma Dodd-Frank.

Zuckerberg, a onor del vero, nelle dichiarazioni pubblicate invoca preoccupazioni per la salute della democrazia. Argomenta che in realta’ “spezzare le aziende, che si tratti di Facebook, di Google o di Amazon, non risolve i problemi. Non rende le interferenze elettorali meno probabili. Le rende piu’ probabili perche’ le societa’ non sarebbero in grado di coordinarsi e di lavorare assieme”. Ma nel commentarle a posteriori non ha negato tutto il resto – compresa l’ipotesi di una guerra legale con il governo. Warren da parte sua ha ribadito “di non aver paura di richiamare leader di Big Tech quali Facebook, Google e Amazon, alle loro responsabilita’”.

L’accusa che i giganti tech abbiano ormai creato veri e propri nuovi monopoli non arriva oltretutto soltanto da Warren. La stessa Fed, negli ultimi anni, ha acceso i riflettori con dibattiti e simposi sull’impatto di questi super-gruppi non tanto sui prezzi dei servizi ma su qualita’, concorrenza e impatto sul mercato del lavoro. E’ Warren ad aver pero’ messo in agenda una delle proposte di riforma piu’ drastiche e dettagliate, come diventata sua caratteristica: vieterebbe tra l’altro a protagonisti di e-commerce quali Amazon di avere il controllo di una piattaforma di “marketplace” e allo stesso tempo di parteciparvi attivamente. Nominerebbe una autorità per disfare fusioni considerate nocive, nel caso di Facebook quelle di WhatsApp e Instagram. Su questo fronte ha incalzato: “Immaginate se Facebook e Instagram cercassero di superarsi a vicenda nella protezione della privacy e nella difesa da informazioni false, invece di lavorare assieme per vendere i vostri dati, inondarvi di cattive informazioni e minare la sicurezza delle elezioni”.

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