Fact Check, la ricetta anti-bufale di Google: in evidenza le notizie verificate

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Si tratta di un’etichetta che Big G ha aggiunto accanto agli articoli inseriti tra i risultati di ricerca della propria sezione notizie. L’obiettivo: dare risalto alla comunità che si occupa di controllare le informazioni.

Uno strumento per evidenziare subito le notizie corrette e verificate. Così tentare di mettere un freno alle decine di informazioni inesatte, non controllate, o del tutto farlocche che inquinano la nostra dieta mediatica online. È l’etichetta “Fact check” che Google ha appena aggiunto accanto agli articoli inseriti tra i risultati di ricerca della propria sezione notizie. Una sorta di “bollo” di qualità, al momento visibile dagli utenti statunitensi e britannici, e sull’applicazione “Google news & weather” per dispositivi iOS e Android. Ma che presto arriverà anche sui nostri desktop. E si affiancherà ai marchi preesistenti come “editoriali”, “approfondimenti”, “fonte locale”, il “più citato” e via discorrendo.

“Siamo entusiasti di assistere alla crescita della comunità di fact checker e di puntare un faro sui suoi impegni per distinguere i fatti dalla finzione, il buon senso dalle sbandate”, ha scritto Richard Gingras, capo delle notizie di Big G, in un post sul blog della compagnia. Un gruppo ormai talmente affiatato che ogni anno fa centinaia di verifiche, esaminando leggende urbane, proclami fatti dai politici, e le notizie veicolate dai media stessi. Per dar loro risalto Mountain View guarderà a quei siti che “seguono i comuni accettati criteri per il fact checking” e ne invita altri ad aggregarsi alla banda. Inoltre, permetterà agli editori di questo tipo di contenuti di inserire nelle pagine dei loro articoli un codice aggiuntivo che Google Notizie utilizzerà per distinguere i pezzi del genere dagli altri. Il sito specializzato tecnologia The Verge ha notato il tempismo nel rilascio della nuova funzione: appena prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, dove il dibattito elettorale è stato finora rimpolpato di menzogne: secondo il sito di fact cheking Politifact, Donald Trump ha detto falsità nel 71 per cento dei casi, Hillary Clinton nel 27 per cento. E Fact Check potrebbe aiutare gli elettori ad avere un quadro più chiaro della situazione.

Ma funzionerà a smorzare la viralità delle bufale? È scettico Walter Quattrociocchi, coordinatore del Laboratory of Computational social science dell’IMT di Lucca che ha condotto molti e approfonditi studi sull’argomento: “Gli utenti vengono comunque attratti dalla versione della notizia che più li aggrada”, spiega. D’altra parte, stando proprio a una ricerca dell’IMT – che non è stata ben accolta dai fact checker italiani – i post di debunking, cioè che puntano a correggere una credenza sbagliata, sembrano avere persino l’effetto contrario: rinforzano l’informazione falsa. C’è un ulteriore aspetto che non convince Quattrociocchi: è ancora poco chiaro il modo in cui verrà assegnata l’etichetta. Ma Fact Check ha anche un aspetto positivo: “Si riconosce l’importanza del problema”, conclude il ricercatore.

La disinformazione online è, infatti, diventata una questione fondamentale. E la mossa di Google è importante, anche se gran parte della battaglia si gioca oggi sui social network. In particolare, su Facebook. Proprio la creatura di Mark Zuckerberg non se la cava benissimo in tale direzione. Basti pensare allo scarso successo del “click anti-bufale” o di Newswire, agenzia per notizie verificate. O, ancora peggio, al recente pasticcio combinato nella sezione Trending Topics, una sorta di boxino che gli iscritti al social di alcuni paesi trovano in bacheca e in cui vengono segnalate le notizie di tendenza al momento. Da quando Facebook ha deciso di affidarne la “cura” solo all’algoritmo nel riquadro si sono periodicamente susseguite bufale di ogni sorta. Dalla teoria cospirazionista sull’undici settembre rilanciata in occasione del quindicinale dell’attentato, all’annuncio di una Siri incorporata nel nuovo iPhone 7, in grado di fare persino le pulizie domestiche.

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