Dalle criptovalute ai contratti: notai a sostegno delle blockchain. Un passo oltre la Notarchain e un passo verso le reti distribuite pubbliche, per “integrare” la professionalità notarile alla validità tecnologica delle blockchain esistenti. Dopo il progetto di una catena dei blocchi “chiusa”, con nodi affidati a soggetti qualificati (in questo caso, almeno uno tenuto dal Notariato), il focus del Consiglio nazionale e della sua società informatica Notartel si sposta verso gli ecosistemi diffusi e aperti, come quello di Bitcoin. Con lo stesso intento: rafforzare la funzione del notaio di pari passo all’innovazione. E intervenire su tre temi che stanno limitando la diffusione delle criptovalute: tracciabilità, identità, sicurezza.
Fermi restando gli aspetti imprescindibili della professione – che non possono essere semplicemente “tradotti” o diversamente intermediati tramite blockchain – si tratta di capire come il ruolo notarile possa continuare a evolversi, ma anche come possa contribuire a migliorare l’applicazione delle reti distribuite pubbliche. E dunque sabato scorso il Notariato, in collaborazione con il Devo Lab della Sda Bocconi, ha chiamato a raccolta una decina di aziende, selezionate dagli esperti della stessa Università, per una gara di idee. Grandi società (come Microsoft, Deloitte o Pwc) e startup, tutte con profili di esperienza nello sviluppo e l’implementazione di blockchain, distributed ledgers e architetture It.
Dalle firme alle identità digitali
La gara è stata indirizzata verso tre macro-argomenti: gestione di servizi multisig (multi-firma) per criptovalute, servizi di identità digitali per blockchain pubbliche, servizi di escrow per smart contract (fornitura di dati certificati per “sbloccare” i contratti).
In tema di criptovalute, ad esempio, – al di là delle caratteristiche di sicurezza implicite nella stessa tecnologia blockchain – si verificano spesso casi di furto, smarrimento o cessione non volontaria. Problemi che chiamano in causa i software di salvataggio e trasferimento (wallet) e le piattaforme di compravendita (exchange). Cosa si può fare se viene rubata o smarrita la chiave, la password che serve all’utente per gestire e validare le operazioni? Nulla, l’utente non può più firmare la transazione. Tranne se il servizio non è sviluppato a multi-chiavi (multisig), per cui necessita della firma di un terzo validante, che può essere – appunto – il notaio. Così da migliorare la sicurezza, prevenire i furti, e garantire l’effettiva volontà delle parti nel trasferimento.
Altro problema l’identità dell’utente, rappresentata solo da un codice alfanumerico che assicura sì un alto livello di anonimato ma si pone in contraddizione con le attuali procedure antiriciclaggio. Come superare lo scoglio? Anche qui, il Notariato si propone come possibile garante dell’identità di chi opera sulla blockchain pubblica. D’altra parte, i notai effettuano circa il 90% delle segnalazioni antiriciclaggio tra le professioni (come sottolinea un recente rapporto Uif della Banca d’Italia), si sono dotati di regole tecniche in materia (ex Dlgs 90/2017) e all’antiriciclaggio dedicheranno il convegno nazionale di fine novembre.
Verso un «meta-servizio»
«Dopo aver ragionato a una struttura permissioned come la Notarchain, andiamo ora verso l’approfondimento delle strutture permissionless, con l’intento di superare alcuni limiti legati all’anonimato delle operazioni e all’effettiva impossibilità di identificare i beneficiari delle transazioni», spiega Giampaolo Marocoz, consigliere nazionale del Notariato. «In questo senso, è come se i notai si proiettassero verso una “meta-blockchain”, che vada a coprire i punti “deboli” delle reti esistenti, guardando anche all’off-chain». E raccogliendo proposte (concrete e realizzabili nel breve-medio periodo) da poter portare anche ai tavoli di lavoro sulla blockchain organizzati dal ministero dello Sviluppo economico.
La validazione dei contratti
La gara è stata vinta dal team formato da due startup (Proofy e Craftain), che al termine del workshop ha presentato una soluzione in tema di identità e garanzia delle transazioni. Creare un’applicazione su blockchain che offra dei servizi che sfruttino le reti pubbliche esistenti per incentivare gli utenti ad associare la propria identità digitale a un “address”.
Un esempio? Prendiamo un’applicazione che consenta di costituire una società che regoli i rapporti tra i soci attraverso degli smart contract, oltre ai classici documenti aziendali. I soci possono utilizzare i fondi, purché rispettino le regole scritte negli smart contract. I quali però – pur avendo diversi vantaggi (velocità, automazione, eccetera) – potrebbero creare situazioni di collusione tra due soci, creando svantaggi agli altri. Qui si inserisce il ruolo del notaio, che valida lo smart contract e alcune operazioni critiche lì definite: verifica sia l’identità di chi partecipa alle transazioni con criptovalute, che la provenienza (lecita) dei fondi stessi. In tal modo l’utente avrà un forte incentivo (cioè la tutela) a integrare il ruolo del professionista nella gestione dello smart contract, in un sistema di multisignature. E il tutto avverrà attraverso un’applicazione che si basa su tecnologie già esistenti e che si adatta alle piattaforme oggi in uso (non solo Bitcoin).
Il tema centrale dell’identità
Altre idee hanno ricevuto una particolare menzione: quelle di chi ha affrontato le conseguenze della tokenizzazione degli asset, o della gestione (e certificazione) dell’eredità. Nel complesso, «ci siamo focalizzati sui temi che riguardano l’identità, perché questo è un punto focale che sta sempre più emergendo nel passaggio in rete: l’identità dei soggetti e le relazioni tra soggetti», osserva il presidente di Notartel, Michele Nastri. «Un aspetto a cui la magistratura sta continuando a interessarsi, in relazione al grande impatto e ai rischi delle criptovalute, le quali di per sé non sono né il problema, né la soluzione a tutti i problemi».
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