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Viaggio in Svezia, il Paese felicemente senza soldi

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Quattro giorni senza toccare una banconota né una moneta nello Stato dove l’85 per cento delle transazioni è digitale. Con vantaggi sui numeri di rapine, evasioni e dell’economia in nero. Ma c’è chi protesta anche lì! Una perdita netta l’hanno subìta i senzatetto. Gli svedesi sono gente di buon cuore, primatisti mondiali di accoglienza rifugiati, ma non hanno più una corona in tasca. «Se solo avessero un telefonino potremmo fare l’elemosina per via elettronica» dice serio il regista Erik Gandini, nato da mamma scandinava a Bergamo e che vive qui da trent’anni, «come quel gruppo di musicisti di strada che, invece della tazza per le monete, mostrava un numero di cellulare dove swishare». Il neologismo si riferisce a Swish, il servizio di bonifici usato da oltre metà della popolazione grazie al quale pagare è facile come mandare un sms. In realtà alcuni homeless che vendono giornali di strada si sono già organizzati con iZettle, l’alternativa economica ai Pos, i lettori di carte di credito che molti nostri commercianti ancora cordialmente detestano. Tra gli scontenti dell’addio ai contanti ci sono poi gli anziani che faticano a cambiare abitudini e chi vive in zone rurali, costretto a fare chilometri per trovare una filiale con banconote (circa la metà ne è ormai sprovvista) o anche solo un bancomat. Di certo il cambiamento è stato molto rapido: ancora nel 2010 il 40 per cento delle transazioni era cash, contro il 15 per cento attuale, quota che sprofonda al 2 per cento se invece del numero si considera il valore rispetto al totale del Pil. In Italia, per contestualizzare, siamo rispettivamente all’85 e al 56. Loro primi nella corsa verso la cashless society, noi ultimi o quasi. Piazzamenti ben diversi rispetto a quelli che occupiamo nella classifica dell’evasione fiscale. Eppure, mentre Stoccolma continua a spingere per dissuadere i cittadini dall’azzardarsi ad allungare un dito su una banconota, Roma triplica il tetto consentito per gli acquisti in contanti. Mistero terapeutico. Un po’ come se al sano prescrivessero solo verdurine e al paziente diabetico un domicilio coatto in pasticceria. Perché?

Ho trascorso quattro giorni senza toccare un soldo ed è stato bellissimo. Istruttivo, soprattutto, dei tanti vantaggi a cui non siamo abituati a pensare – oltre a cancellare il nero – collegati ai pagamenti elettronici. La scintilla di cronaca che ha velocizzato il cambiamento è stata una serie di rapine in banca, tra 2007 e 2009, che non avrebbero sfigurato in un film di James Bond. La più famosa è forse quella di Västberga, un grande forziere di denaro a sud della capitale. Elicotteri, kalashnikov, 6,5 milioni di dollari spariti, ci scrissero anche un libro. I sindacati dei bancari dissero che non si poteva andare avanti così. Al coro si aggiunsero anche i conducenti di autobus. I cassieri dei negozi. Chiunque maneggiasse soldi. Per mettere fuori corso i ladri, filava il ragionamento, aboliamo il contante. Ha funzionato. Nel 2014 le rapine in banca sono crollate del 70 per cento rispetto a un decennio prima. Anche la cassiera di Fabrique, una mini-catena di fornai molto di moda, si sente enormemente più tranquilla mentre mi mostra il cartellino che sulla cassa avverte: «Cash free».
David Zetterström, il proprietario dei tredici negozi, me la spiega così: «Solo nel 2015 abbiamo subìto cinque furti. Allora il contante costituiva il 10 per cento delle nostre vendite. Valeva la pena insistere?». No. Da allora, incrociando le dita, nessun ladro si è fatto vivo. E gli affari, al netto di qualche vecchietta malmostosa, non ne hanno risentito. Lo stesso avviso lo trovo al museo degli Abba, che qui hanno lo stesso statuto mitologico dei Beatles in Gran Bretagna. D’altronde Björn Ulvaeus, l’Abba senza barba, è uno dei principali teorici pop dell’addio alle corone. Ha dato così tante interviste che oggi non vuole parlarne più ma, riferendosi alla Grecia delle sue vacanze (l’unica nazione europea fiscalmente più infedele di noi), ha dichiarato: «Corruzione, evasione delle tasse, economia sommersa: potrebbero sparire. Pensate che bello». Anche da Fotografiska, il museo della fotografia che ospita una personale di Anton Corbijn, ritrattista delle popstar globali, ogni forma di valuta è diventata non grata. «Ogni tanto c’è qualche visitatore in là con gli anni che polemizza» ammette la cassiera, «accusandoci di essere servi delle banche, ma sono sempre meno». Insomma, normali tempi di digestione di una transizione piuttosto radicale.
Se c’è uno a cui proprio non va giù quello è Bjorn Eriksson, capo dell’Interpol negli anni ‘90 che incontro in un caffè della centralissima Kungsgatan. Nel 2015 ha fondato Kontantupproret, un movimento per la rivolta dei contanti che i detrattori hanno ribattezzato il «partito della prostata». L’ex poliziotto pretende rispetto: «Parliamo di almeno un milione di persone (su una popolazione di dieci) che, per età o collocazione geografica, trovano immensamente scomodo usare gli strumenti elettronici». A sentire lui nelle poche filiali che ancora hanno banconote fanno aspettare gli anziani anche un’ora, un’ora e mezzo, per scoraggiarli. «E provate a pagare con qualche app nel telefonino in zone dove il campo viene e va» rincara. L’accusa è che il governo si sia arreso allo strapotere dei quattro principali istituti di credito ai quali, oggi, basta aumentare impercettibilmente le commissioni sulle carte per far lievitare i profitti. Senza contare l’aumento delle frodi elettroniche e dei furti di identità: «Perché il governo non vuole rivelare questi dati?» si scalda, adombrando cospirazioni. Le frodi totali sono triplicate negli ultimi dieci anni, come in tanti altri Paesi, e internet ha contribuito. Ma quelle contro carte di credito solo intorno al 10 per cento all’anno. I suoi ragionamenti franano però su una buccia ad personam, dal momento che Eriksson è il lobbista in capo dell’industria della sicurezza privata, tra vigilantes e trasporto valori. Un conflitto di interessi inaggirabile dal quale prova a svicolare dicendo che chi lo critica è invece lacchè delle banche.
Tra i pochi che pubblicamente lo sostengono, invece, c’è il patronato Pro che raggruppa 400 mila pensionati e di cui Johanna Ahlen è vicepresidente: «Ciò che diciamo, più sommessamente, è che si tratta di un cambiamento avvenuto troppo alla svelta. Non vogliamo fermare il progresso (“Nel mio portafogli? Ho solo 5 corone” ha confessato, ovvero 5 in più di tutti gli altri intervistati), facciamo campagne per insegnare ai nostri iscritti a usare internet e gli smartphone, ma le sembra normale che in tutti i bus e in certe toilette delle stazioni si possa entrare ormai solo con carta di credito? Per denunciare questi problemi abbiamo raccolto 139 mila firme e le abbiamo consegnate al governo». Più esattamente a Per Bolund, il ministro delle Finanze che incontro in un edificio con un dispositivo di sicurezza inflessibile. Non ha dubbi sui vantaggi della svolta digitale che ha caldeggiato («Praticamente ogni acquisto è ormai tracciabile»), ma riconosce che alcune categorie hanno sofferto e non ha intenzione di abbandonarle al loro destino: «Abbiamo parlato con le banche, perché se ne facciano carico, assicurando l’accesso al contanti anche nei posti più remoti». Ammette che uno scontro generazionale è in atto, ma ricorda che ormai il 70 per cento degli svedesi paga le tasse online (di cui il 30 per cento dal telefonino) e anche questo, ancora pochi anni fa, sembrava un traguardo impensabile. L’unico limite superstite di questo Paese è climatico, con l’esangue luce del mattino e il tramonto precoce già all’ora in cui noi prendiamo il caffè post prandiale.
Sotto la luce dei lampioni mi sposto nella vicina banca centrale dove incontro Bjorn Segendorff, lo specialista di sistemi di pagamento che mi mostra divertito una gigantesca moneta del Seicento dal peso di alcuni etti («Un tempo era una cosa normale») conservata in una teca illuminata. Aggiunge un’altra voce nella colonnina a favore della cashless society: la facilità di amministrazione. «Molti commercianti non ci pensano, ma sa cosa significa avere tutto in elettronico piuttosto che contare la cassa a mano ogni sera? Un enorme risparmio di tempo». Per non dire della serenità per i cittadini, nell’ipotesi di contestazioni da parte del fisco: una memoria totale da cui gli onesti non hanno nulla da temere.
L’alternativa ai contanti, qui, non sono solo le carte di credito. Oltre a Swish c’è Seqr, una app per pagare via telefonino. Peter Fredell è l’amministratore delegato di Seamless, la società che l’ha creata una decina di anni fa e che oggi ha 300 dipendenti tra Svezia, Pakistan e Polonia che ospitano la divisione informatica. L’anno scorso ha gestito 4,6 miliardi di transazioni contro le 32 di Mastercard e le 60 di Visa. Dice: «Se paghi fotografando il codice a barre Qr la commissione per l’esercente è dell’1 per cento, se invece avvicini lo smartphone a un lettore contactless il 2 per cento, come quella delle carte di credito». La comodità però sta nell’archivio delle ricevute, nei buoni sconto che ti offrono e nella restituzione fino al 3 per cento delle spese ogni quadrimestre. Com’è possibile? «Il trucco è che non solo prendiamo le commissioni, ma soprattutto guadagniamo dalle pubblicità che appaiono sulla app, oltre che da una percentuale dei coupon. E una parte di questi soldi la giriamo al cliente». Mi porta in un supermercato a comprare della cioccolata per le sue impiegate e del tabacco per lui. Accanto alla cassa c’è una calcomania con il codice Qr: basta una foto ed è fatta. E per configurarla, visto che funziona anche da noi, bastano sì e no cinque minuti, compreso Iban e scansione del documento.
Un altro innovatore è Jacob de Geer, 40 anni e due metri di altezza, che ha gli uffici in un palazzo che ospita anche Spotify e altre start up di successo. Nel 2010, per rendere la vita più semplice all’ex moglie che occasionalmente vendeva occhiali nei mercatini a clienti che volevano pagare con carta di credito, ha creato iZettle, un lettore di tessere magnetiche da 49 euro e senza alcun canone annuo. Spiega: «Paghi solo quando lo usi, una commissione che va dall’1 al 2,75 per cento a seconda che tu lo adoperi spesso o solo poche volte all’anno. Sin da subito l’ho pensato per le piccole imprese che non potevano permettersi un Pos vero e proprio». Si ferma e mi punta il dito contro: «Parlo di 20 milioni di aziende in Europa, di cui tante in Italia, gli eroi dimenticati per uscire dalla crisi». Cita una statistica per cui un quarto dei potenziali consumatori uscirebbe dal negozio se si accorgesse che l’unica opzione è il contante. Mi guarda ancora: «Abbiamo clienti anche da voi, ma potremmo fare meglio. Anche perché, con così tanti dati sull’andamento delle vendite di chi ci usa, abbiamo cominciato anche a fare prestiti fino a 70 mila euro che uno ripaga come maggiori commissioni sulle transazioni future». Che, al netto del brividino da Grande Fratello, è un’alternativa piuttosto geniale al credit crunch endemico delle banche. Sarà che ho ancora negli occhi il ditino sdegnoso della cassiera dell’Osteria Bonelli di Roma, 4,5 stellette sulle 5 massime di Tripadvisor, nel declinare la mia carta «perché il minimo è 30 euro altrimenti non ci rientriamo con le commissioni» (al 2 per cento, parliamo di 60 centesimi), ma mi sento come su un altro pianeta. Chiedo conferma ad Alessandro Perego, del Politecnico di Milano: «La gestione del contante costa al nostro Paese circa 9,5 miliardi ogni anno, di cui 4,9 pesano sulle banche (trasporto, conteggio, gestione), 3,4 sugli esercenti (trasporto, sicurezza e mancati guadagni) e 1,2 sui consumatori (tempi e costi di prelievo e deposito, furti, smarrimenti). A questo va aggiunto il

gettito perso per l’erario, circa 25 miliardi di euro all’anno, come quota di sommerso favorito dal contante».

Ma che aspettiamo? Interpello Giuseppe Marotta, economista all’Università di Modena a Reggio Emilia: «C’è un consenso unanime, a livello internazionale, nel favorire pagamenti diversi dal contante perché meno costosi per il sistema economico e perché, essendo tracciabili, rendono più difficili il nero, il riciclaggio, il finanziamento ai terroristi». Quanto al sommerso le stime più recenti danno quello italiano al 21per cento del Pil contro il 14 svedese. E allora la decisione del governo di triplicare il limite degli acquisti in contanti? La bocciatura è senza appello: «Le motivazioni addotte sono prive di fondamento». È una domanda che ho ovviamente posto anche agli svedesi, i più politici dei quali, con occhi sgranati, hanno risposto solo a microfono spento. Più temerario è stato l’accademico Niklas Arvidsson, che insegna al Royal Institute of Technology: «Non ha senso, proprio non vedo la logica. Se l’argomento è stimolare le vendite, ciò si fa… favorendo l’uso delle carte». Devono esserci altri motivi, più sofisticati, che gli scandinavi non afferrano.
Fatica anche l’americano Kenneth Rogoff, economista di Harvard, che ha appena pubblicato The curse of cash, la cui tesi principale è ridurre la circolazione di grossi tagli, preferiti da evasori e criminali di ogni risma (con lo stesso obiettivo, tra molte critiche, l’India ha invece messo fuori corso alcuni piccoli tagli). Via email prende le distanze con diplomazia: «È dura comprendere come in questa decisione i più possano superare i meno. Ciononostante la mia preferenza sarebbe quella, più soft, di togliere dalla circolazione le banconote da 50 euro in su e rendere sempre meno convenienti i grandi pagamenti in contanti». Ovvero l’opposto di quel che è stato fatto da noi. Il regista Gandini, il cui sorprendente La teoria svedese dell’amore è ancora nelle sale, mi racconta di come quello stesso giorno abbia bonificato via messaggino sua figlia che aveva anticipato i soldi della spesa al supermercato: «La più grande differenza rispetto a noi è che gli svedesi hanno una grande fiducia nelle istituzioni. E quando tornano da vacanze in altre parti d’Europa sono scandalizzati dalla difficoltà che incontrano nel pagare con le carte». Nel 2014, registra la Bce, in Italia erano stati 80 i pagamenti con strumenti alternativi al contante, contro i 402 svedesi. Che un tecnofilo come Renzi non si sia convinto a rottamare i contanti, mentre la Banca centrale di Stoccolma prende in considerazione di varare addirittura una moneta elettronica, resta tra gli enigmi politici più appassionanti del Vecchio continente.
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