Un grande paese alle soglie del nazionalismo religioso

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In India con l’ascesa di Modi fra crescita, nazionalismo e tentazioni autoritarie. Il presidente è inebriato da tassi di consenso elevatissimi, ma il suo partito Bharatiya Janata Party oscilla verso l’autoritarismo.

Quando Jawaharlal Nehru dichiarò che L’India indipendente non avrebbe avuto «nient’altro che la democrazia», il più scettico fu Clement Attlee. Nel 1947 il premier laburista inglese incaricato di separare il “gioiello più prezioso” dal morente impero britannico, era convinto che l’India come i nuovi Paesi indipendenti, «tende a degenerare in dittatura».

Attlee si sbagliava. Nonostante guerre, povertà, le grandi diversità etniche, linguistiche e religiose, per la sua demografia l’India sarebbe diventata la più vasta democrazia del mondo. Ancora lo è, sebbene i dubbi sulla sua tenuta siano crescenti. A febbraio il New York Times sosteneva che «l’orgogliosa tradizione della libertà di stampa indiana è a rischio». Secondo il quotidiano, il premier Narendra Modi e il suo governo nazional-induista minano «lo status di più grande democrazia al mondo».

Nell’ultima indagine sulla libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere, l’India è precipitata al 150° posto su 180 Paesi. La Russia di Vladimir Putin è dietro di cinque posizioni. Ma il problema non riguarda solo i giornalisti. Nelle università c’è una sistematica discriminazione verso docenti e intellettuali che si oppongono al potere dilagante del Bjp. Così nel sistema giudiziario, nella polizia. In molti casi il diritto di critica si è trasformato in un reato.

Il partito di Modi «inebriato» dal successo

Anche ai tempi del Congress della famiglia Nehru- Gandhi, c’era la tradizione di diffondere i ritratti dei leader. A Delhi tuttavia, l’immagine di Modi appare ovunque, anche più dei tradizionali canoni indiani. C’è perfino all’ingresso del Gandhi Smriti, il luogo ora diventato museo dove il Mahatma fu ucciso da un nazionalista hindu nel 1948.

Oggi in Parlamento siedono deputati del Bjp che hanno riabilitato come eroe l’assassino di Gandhi.

Con un eufemismo, un ambasciatore europeo a Delhi sostiene che il partito nazional-religioso di Modi «è inebriato dal suo successo». Il premier si avvicina alla fine del suo secondo mandato e il terzo, dopo le elezioni dell’anno prossimo, è dato per scontato: la vittoria sarà ancora più grande della precedente.

India: così l’ascesa di Modi fra crescita, nazionalismo e tentazioni autoritarieNell’attuale Parlamento di 543 deputati, il Bjp ha 301 seggi: potrebbe governare da solo ma ha aperto a un’ alleanza di governo, la National democratic alliance, che arriva a 329 deputati. L’anno prossimo l’obiettivo raggiungibile secondo i sondaggi, è superare quota 400.

Come dice Pratap Bhanu Mehta, accademico e scienziato della politica, epurato dalle università indiane, «il nazionalismo hindu è nato con il progetto democratico dell’India moderna: non è un’aberrazione ma lo accompagna come un’ombra. Il dubbio è in quali condizioni l’ombra diventi tanto lunga da oscurare l’orizzonte della democrazia».

L’ombra si trasforma in spettro, secondo Mehta, quando un eccessivo consenso popolare spinge all’autoritarismo.

Il boom di consenso di Modi e l’assenza di alternative

Il consenso per Narendra Modi è fenomenale: supera costantemente il 70%, grazie anche a una importante e perdurante crescita economica. Tradizionalmente il Bjp era il partito delle caste più alte; quelle più basse e la massa dei poveri sostenevano il Congress socialista. Modi ha ribaltato la consuetudine. Viene da una casta fra le più basse, le O.B.C., acronimo di “altre caste arretrate”. Con i suoi programmi sociali la percentuale dei poveri è calata dal 28 al 16%.

Il Bjp vince e va a vincere anche per l’assenza di un’alternativa nazionale pan-indiana. Il suo successo è stato facilitato dal declino del Congress, incapace di liberarsi dal controllo della famiglia Gandhi: ora ha solo 50 seggi in Parlamento. Se il Bjp governa 10 stati dell’Unione indiana e altri cinque con alleati, il Congress controlla ormai solo quattro stati più tre in coalizione.

B.R. Ambedkar, il giurista che scrisse la Costituzione, la più lunga al mondo, sosteneva che l’India è una collezione di minoranze: un insieme di caste, religioni, etnie, lingue. Forse è questa la singolarità dalla quale Narendra Modi non potrà prescindere; il tratto caratteristico destinato a ridimensionare il pericolo dell’ Hindutva, l’ideologia nazionalista dell’induismo, ad una forma di nativismo come altrove: Israele, l’America di Donald Trump, Ungheria e Polonia. Fenomeni preoccupanti ma correggibili.

Il federalismo indiano, cioè la singolarità descritta da Ambedkar, sarà forse il baluardo della democrazia indiana. Il Bjp governa da solo in 10 dei 28 stati dell’Unione. I partiti regionali vincono in otto; in altrettanti Congress e Bjp non governerebbero senza di loro.

Il Center for Political Research, un think tank di Delhi, ha contato l’esistenza di 3.892 partiti: statisticamente 139 per ogni Stato. L’Uttar Pradesh, con 250 milioni di abitanti, ne ha 618, il Bihar 431.

Le caste continuano ad avere un ruolo importante. Come la religione. In India il laicismo non è un’ideologia che prevede la separazione fra stato e chiesa, ma tratta tutte le religioni come uguali davanti allo stato. Il contrario di ciò che vuole il Bjp.

Spiega il Center for Political Research: «Gli Stati sono differenti nella loro composizione geografica, demografica e culturale. Non solo producono la domanda per uno stile distinto di governo ma anche permettono ai partiti dalle posizioni diverse, di avere successo». Sarà questo a fermare le tentazioni autoritarie del Bjp?

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