Un ictus svela un circuito cerebrale che alimenta la dipendenza da fumo. Erano fumatori incalliti finché un ictus non li ha liberati dalla nicotina: lo studio del loro cervello ha svelato le basi neurali della dipendenza.
La conseguenza inaspettata di un ictus potrebbe salvare la vita a milioni di persone che soffrono di varie forme di dipendenza. Analizzando le scansioni cerebrali di un gruppo di fumatori incalliti, divenuti improvvisamente refrattari alle sigarette in seguito a una lesione cerebrale, alcuni scienziati hanno individuato un circuito cerebrale che sembra alimentare la dipendenza da nicotina, alcol o altre sostanze.
I risultati dello studio pubblicato su Nature Medicine sono importanti per due ragioni: contribuiranno a scalfire i pregiudizi su chi vive incastrato in abitudini dannose, e serviranno a mettere a fuoco nuovi trattamenti per interrompere questo circolo vizioso.
La dipendenza (dal fumo, ma non solo) è una condizione neurologica: per romperla è necessario conoscerla. Shutterstock
Un cambiamento improvviso. La dipendenza è a tutti gli effetti una malattia neurologica, che non ha nulla a che fare con la “volontà di uscirne” o la “mancanza di carattere” di chi si trova coinvolto. Gli scienziati che la studiano lo ripetono da tempo ma finora, capire esattamente quale area cerebrale fosse implicata si era rivelato impossibile. Sembrava di inseguire un bersaglio in movimento.
Per comprendere meglio le basi neurali della dipendenza Juho Joutsa, neuroscienziato dell’Università di Turku (Finlandia), ha esaminato con sofisticate tecniche di analisi statistica le scansioni cerebrali di 34 fumatori dell’Iowa che avevano d’un tratto perso il desiderio di fumare dopo un ictus (cioè un danno cerebrale derivante dalla chiusura improvvisa o dalla rottura di un’arteria) o dopo una lesione cerebrale di altra origine. I loro referti sono stati confrontati con quelli di altre 69 persone reduci dagli stessi eventi che però non erano uscite dalla dipendenza.
Quattro aree collegate. Chi aveva perso la voglia di sigarette presentava danni in una tra tre aree cerebrali – corteccia dorsale cingolata, corteccia prefrontale laterale e corteccia insulare – o in altre regioni cerebrali fortemente connesse a una di esse. Per Joutsa e colleghi, la rete di aree e connessioni che emerge dalle analisi è da considerare il circuito della dipendenza, anche perché in nessun caso una singola regione danneggiata contribuiva, da sola, ad alleviare la voglia di fumare.
I fumatori non presentavano invece danni a una quarta area cerebrale che fa parte di questo circuito, la corteccia prefrontale mediale, che ha il compito di inibire l’attività delle altre tre. Perciò, stimolando questa parte di cervello in pazienti che non hanno avuto ictus e che non presentano danni altrove, si potrebbero ottenere risultati analoghi a questi arrivati “per caso”.
Non solo fumo. Gli scienziati hanno cercato di capire se le conseguenze delle lesioni cerebrali sull’umore o sulle facoltà cognitive potessero spiegare la cessata voglia di fumare, ma queste non sembrano avere alcun peso nella fine della dipendenza. A fare la differenza è proprio il danno nel circuito di aree chiave, implicate nel controllo degli impulsi, nei meccanismi di motivazione e di gratificazione (ricompensa). Tant’è che quando gli scienziati hanno studiato le lesioni cerebrali di altre 186 persone che avevano completato un questionario sul rischio di dipendenza da alcol, hanno visto che i danni in questo circuito erano legati anche a una minore probabilità di alcolismo. Lo stesso vale probabilmente per la dipendenza da stupefacenti.
Guardare al futuro. La ricerca dovrebbe contribuire a demolire gli stereotipi sulla dipendenza e chiarire che essa non è una scelta, ma una condizione con precise motivazioni neurologiche. Ci sono poi le prospettive terapeutiche: con alcune tecniche di stimolazione non invasiva del cervello è possibile sopprimere l’attività in certe regioni cerebrali o aumentare l’attività in altre, imitando così l’effetto causato dalle lesioni riportate dai pazienti dello studio.
Fotogallery 12 cose che succedono quando smetti di fumare
Dopo 15 anni: anche il rischio di infarto non c’è più. Il rischio di infarto diviene pari a quello corso da chi non ha mai fumato (a parità di stile di vita).
Naturalmente la lista dei benefici non è assoluta e va declinata da persona a persona. Alcuni danni ai polmoni possono risultare permanenti, e le conseguenze del fumo dipendono anche da quanto a lungo si è fumato e dal numero di sigarette consumate al giorno. In ogni caso, anche se smettere è faticoso, come si vede ne vale la pena.
Dopo 10 anni: il rischio di tumore ai polmoni si dimezza. Il rischio di sviluppare tumore ai polmoni si dimezza rispetto a quello che corre chi non ha smesso di fumare.
Dopo 3-9 mesi: i polmoni iniziano a “ripulirsi”. Le ciglia che tappezzano le vie respiratorie, e che vibrando trasportano detriti e impurità verso l’alto, iniziano a riformarsi, dopo che la nicotina ne aveva ridotto la funzionalità, aumentando il ristagno di muco e l’insorgenza di infezioni respiratorie. La tosse cessa definitivamente, mentre aumenta la capacità respiratoria.
Dopo 48 ore: la nicotina inizia a sparire. La nicotina e i suoi dannosi sottoprodotti iniziano ad essere definitivamente eliminati dall’organismo. Le terminazioni nervose alterate – da queste sostanze – perché i loro recettori sono sensibili alla nicotina – iniziano a ricostituirsi e ripararsi.
Dopo 48 ore: riprendiamo a sentire i sapori. Le papille gustative di chi fuma, solitamente più appiattite, in minor numero e meno sensibili di quelle dei non fumatori, ricominciano a guadagnare sensibilità. Il cibo sembra finalmente più saporito, anche se nei fumatori cronici parte di questi danni potrebbe risultare irreversibile.
Dopo un mese: diminuisce il rischio di diabete. Il rischio di sviluppare diabete di tipo 1, alcuni tipi di cancro e malattie cardiovascolari è già sceso. Per quanto riguarda il diabete, il motivo è semplice: la nicotina sembra interferire con la funzionalità dell’insulina (rendendone per esempio difficile la regolazione per i diabetici che fumano). Smettere di fumare aiuta a riprendere il controllo dei livelli di glucosio nel sangue.
Dopo 72 ore: inizia il momento più duro (per la volontà). È il momento più difficile dell’astinenza da nicotina, con mal di testa, nausea, tremori, crampi, sintomi ansiosi e depressivi (gli stessi sintomi colpiscono anche chi prova a fare a meno di altre sostanze che causano dipendenza, come la caffeina). La buona notizia? Se superato, la strada è in discesa.
Dopo 24 ore: Si inizia a tossire. È una reazione fisiologica dell’organismo che tenta di liberarsi dalle tossine ancora presenti nelle vie respiratorie. Inoltre, anche se è passato solo un giorno dall’ultima sigaretta, a questo punto inizia a calare anche il rischio di sviluppare malattie coronariche, cioè a carico delle arterie coronarie che trasportano il sangue verso il cuore.
Dopo 8 ore: il sangue inizia a ripulirsi. Il sangue dell’ormai ex fumatore inizia a liberarsi dal monossido di carbonio, un gas inodore e incolore che si forma nei processi di combustione ed è tipico del fumo di sigaretta. Questo gas ha una capacità di legarsi all’emoglobina, una proteina presente all’interno dei globuli rossi, molto superiore a quella dell’ossigeno. La concentrazione di monossido di carbonio nel sangue limita pertanto la capacità di assorbimento dell’ossigeno. Tuttavia nei fumatori di lungo corso, il monossido di carbonio fa aumentare le dimensioni dei globuli rossi, rendendo il sangue più denso e aumentando le probabilità di rischiosi coaguli.
Dopo 2 ore: inizia l’astinenza. È questo il lasso di tempo in cui iniziano a farsi sentire i sintomi da astinenza da nicotina: umore nero, senso di stordimento, tensione, difficoltà a dormire. Questo avviene perché la nicotina di cui si sta iniziando a fare a meno favorisce il rilascio di ormoni del benessere come serotonina e dopamina (lo stesso meccanismo che contribuisce a creare la dipendenza da sigarette).
Il fumo: storia di un vizio mortale
Nei primi 20 minuti: La pressione torna normale (e piedi e mani si riscaldano). Pressione sanguigna e battito cardiaco ritornano a livelli e frequenze normali. Questo avviene perché la nicotina stimola il rilascio di epinefrina (o adrenalina) e norepinefrina, due neurotrasmettitori che fanno aumentare il battito cardiaco e restringono i vasi sanguigni. Proprio per la minore funzionalità dei vasi sanguigni i fumatori tendono ad avere sempre mani e piedi freddi: ma a 8 ore dall’ultima sigaretta accesa, questo primo sintomo dovrebbe ormai essere passato.
Sono centinaia le sostanze tossiche, decine delle quali anche cancerogene, rilasciate quando accendiamo una sigaretta (qui le 10 più pericolose). Che il fumo sia una delle prime cause evitabili di morte prematura è noto da tempo, così come gli effetti di questa abitudine sulla salute. Ma che cosa accade quando si smette di fumare? Se state pensando di smettere e vi serve un incoraggiamento, seguite con noi gli effetti a catena della decisione di “uscirne”. Ora dopo ora.
Dopo un anno: il rischio di malattie cardiache è già dimezzato. Il rischio di sviluppare malattie cardiache a causa di ateromi, le placche di grasso, proteine e tessuto che ostruiscono le pareti delle arterie, diminuisce della metà.
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