Dopo un restauro milionario durato quattro anni, le porte della biblioteca al-Qarawiyyin dovrebbero presto riaprire al pubblico. Una battaglia personale per Aziza Chaouni, architetta, a cui nel 2012 il ministero della Cultura di Rabat ha affidato il rinnovamento. “Prima era un luogo elitario in gran parte accessibile solo agli studenti – ha spiegato Chaouni a Repubblica – Ho lottato: non volevo fosse così anche per le giovani generazioni. Ma che aiutasse a contrastare le diseguaglianze economiche del paese e a smentire il pregiudizio che vuole le donne arabe con il velo, sottomesse e nullafacenti: anche noi possiamo essere forti. Che ci crediate o no, è stata una donna marocchina a restaurare al-Qarawiyyin e un’altra a fondarla”.
L’incarico si è trasformato in una missione. Perché dentro al-Qarawiyyin sono custoditi circa quattromila volumi pregiati. Tra cui trattati di medicina in versi, libri d’astronomia d’epoca incredibilmente accurati, più manoscritti di valore incalcolabile. Come una copia del Corano del IX secolo scritta in caratteri cufici su pelle di cammello; e una del Vangelo di Matteo, risale al XII secolo ed è stata tradotta in arabo “probabilmente da uno studente cristiano proveniente dall’Andalusia”, ha fatto sapere Boubker Jouane, vice direttore dell’istituto. “Volevano mantenerla chiusa, come una mummia: far cambiare mentalità è stato più difficile della ristrutturazione in sé”, spiega Chaouni a Repubblica. “Prima era un luogo elitario, in gran parte accessibile solo agli studenti. Ho battagliato: non volevo fosse così anche per le giovani generazioni. Ma che aiutasse a contrastare le diseguaglianze economiche del paese e a smentire il pregiudizio che vuole le donne arabe con il velo, soggiogate e nullafacenti: anche noi possiamo essere forti. Che ci crediate o no, è stata una donna marocchina a restaurare al-Qarawiyyin e un’altra a fondarla”.
Anno 859 dopo Cristo, primo sabato di Ramadan: è Fatima Al-Fihri, benestante figlia di un mercante, a mettere in piedi la moschea. Piccola dapprincipio, appena quattro le navate iniziali. In seguito ha incluso: un’università che per il Guinness World Records è “la più antica istituzione educativa ininterrottamente attiva del globo”; e una biblioteca, al centro della vita studentesca. In origine, il catalogo dei tomi consultabili contava circa trentamila titoli. Tanto da fare di Fes “l’Atene dell’Affrica a cui accorrevano dotti e letterati d’ogni parte d’Europa e Levante”, scrive Edmondo De Amicis in Marocco, diario di viaggio del 1875. Abdou Handa, parte del gruppo che si è occupato dei lavori, lo ribadisce: “Era un ponte tra Oriente e Occidente, dove avveniva un continuo scambio tra diverse culture. Qui c’è la nostra storia”. Da questi banchi sono passati in tanti. Il filosofo ebraico Mosè Maimònide. Lo storico musulmano Ibn Khaldun. E persino un giovane con la passione per la matematica di nome Gerberto d’Aurillac che di lì a poco sarebbe diventato papa Silvestro II. Pensarli chini sui volumi è solo un gioco d’immaginazione. Che diventa meno difficile man mano che si scopre il nocciolo di al-Qarawiyyin. L’occhio si sofferma sui dettagli: l’alto soffitto in legno della sala di lettura, gli arabeschi che decorano tetto e pareti, i piccoli cortili interni piastrellati e coltivati a lavanda e rosmarino.
Una struttura cambiata nel corso degli anni. L’edificio, adiacente al luogo di culto e con affaccio sulla chiassosa piazza Seffarine, è stato costruito nel XIV secolo dal sultano Abou Inane. Ma le diverse dinastie che si sono susseguite al governo del Marocco l’hanno continuamente modificato; ricalcando le trasformazioni in atto nella medina. Fino al 1940, quando con il protettorato francese è cominciato un progetto di ammodernamento. E l’ha consegnato com’è ai restauratori contemporanei. Oggi ogni accesso alla moschea è murato, per consentire l’entrata ai non musulmani. C’è un nuovo impianto di drenaggio per contrastare le infiltrazioni d’acqua, un altro per il rinnovo dell’aria e il controllo della temperatura nelle stanze in cui sono conservati i libri più preziosi. La protezione di un sistema di sicurezza digitale ha soppiantato la vecchia porta in ferro del 1600 con quattro lucchetti: le chiavi erano in mano a quattro persone diverse. Adesso farà da ingresso a un piccolo museo. Al pianterreno un laboratorio: serve a preservare, digitalizzare e trattare i testi antichi. Mentre condizionatori ben nascosti da dei cassettoni rinfrescheranno i lettori. Invisibili segni di modernità, di cui anche una delle più antiche biblioteche della Terra ha bisogno.
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