Operai col chip sottopelle. “Lavoro, pago, uso il pc. I miei segreti nella mano”. Il racconto di McMullan, presidente dell’azienda tech Usa che ha impiantato a 85 dipendenti il circuito sottocutaneo: “Non ho paura di perdere il portafogli, la mia vita è più efficiente. Nella scheda ho anche i dati medici. La privacy? Non è a rischio”.
Grande come un chicco di riso, costa 265 euro e usa tecnologie basate sulla capacità di memorizzazione dati da parte di etichette elettroniche in grado di rispondere agli impulsi a distanza di appositi terminali. Può essere usato per acquistare prodotti delle macchine automatiche, aprire le porte, accedere al pc, pagare e contenere dati sanitari. Ecco il microchip sottopelle: una tecnologia impiantata, tra indice e pollice, da un anno a 85 dipendenti della Three Square Market del Wisconsin. Nel ‘party dell’impianto’ gli impiegati si sono fatti inserire il chip: operazione semplice come farsi un piercing, e anche l’estrazione è indolore e breve. “Non contiene un Gps e non ci consente di seguire gli impiegati. Le informazioni sono criptate, la privacy è assicurata”, dice il presidente di 32M, Patrick McMullan.
Patrick, mi racconta la sua esperienza di uomo con un microchip sottopelle?
“Avere un sistema elettronico nel corpo rende la vita più veloce, più semplice e più economica. Piuttosto che ricordarsi sempre dove uno ha messo i propri oggetti, nella tasca o nel portafoglio o nell’armadio, tutte le informazioni di cui ho bisogno sono sempre nella mia mano. Non devo pensare a dove ho i documenti o di quale gruppo sanguinio faccio parte”.
Quali funzioni copre il suo chip?
“Apro porte, sblocco il computer, è molto utile nel quartier generale della nostra azienda. Inoltre, faccio i pagamenti appoggiando la mano sul lettore e il chip colleziona dati medici di base”.
La sua vita come è cambiata?
“Sono molto più efficiente nel mio tempo. Per una società basata sulla rapidità, sulla convenienza economica affidarsi a una sorta di processore rende tutto molto più facile. La routine è intuitiva, non devi pensare a niente”.
Dopo un anno dall’impianto dei chip nei dipendenti della vostra azienda, cosa va migliorato nel test uomo-macchina?
“La tecnologia del microchip è ancora a livello base. Fra qualche anno ci aspettiamo che il chip riesca a realizzare molti più compiti e possa immagazzinare ancora più dati. Te la metto così, noi ora abbiamo creato il gusto del gelato ‘vaniglia’, ma nei prossimi anni l’intenzione è quintuplicare la gamma di sapori. Vorrei, per esempio, che il chip contenesse tutti i miei dati medici, che sia in grado di tracciare i miei segni vitali, dal battito del cuore alla pressione, dagli zuccheri nel sangue alla temperatura corporea: progettiamo un mini computer che processi tutte le funzioni del corpo umano. Un altro obiettivo è riuscire a immagazzinare l’identificazione completa di una persona nel chip”.
Che tipo di contratto si deve firmare quando si sceglie di ricevere un chip sottopelle?
“Si accettano le condizioni sulla privacy, si firma il consenso informato che il chip svolgerà determinati compiti e soltanto questi compiti. Si tratta di una liberatoria, ma i rischi di una diffusione dei dati sensibili sono minimi. I dati vengono solo usati per sviluppare il nostro progetto”.
Impianterebbe un chip nella mano dei tuoi figli?
“Certo, ci sono già genitori che lo stanno facendo. Una minoranza, ma esistono”.
Altre aziende Usa hanno seguito il vostro esempio?
“Solo un paio, ma è un tema che sta diventando centrale. Sempre più persone stanno pensando di farsi impiantare un chip. Tuttavia, finché non arriveremo a sviluppare un sistema che copra molte più attività, non credo che l’uso sarà diffuso a macchia d’olio”.
Ma qual è il vero vantaggio tra aprire una porta con la mano e farlo con un badge?
“Siamo una tech company e io devo avere la certezza che solamente io sono entrato nel mio ufficio. Il badge, invece, può essere rubato e usato da malintenzionati”.
Ma anche il chip può essere hackerato o la mano amputata.
“È una questione al centro del lavoro degli sviluppatori: vogliamo rendere la tecnologia più sicura possibile nelle evoluzioni future. Ci sono aziende in Svezia che progettano chip di ultima generazioni e sono allarmate nel renderle meno vulnerabili perché ci basiamo su un hardware antico, le persone devono sentirsi a loro agio. Il chip che usiamo è del 2004 e, ovviamente, non può essere considerato per una diffusione di massa”.
Quando diventerà una tecnologia di massa?
“Nei prossimi decenni. Ma non credo affatto che tutta la popolazione progredita del mondo avrà un chip sottopelle”.
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